LA RABBIA: CONOSCERLA E IMPARARE A GESTIRLA

Le radici fisiologiche di questa emozione affondano nella reazione di “combattimento o fuga”. Uno dei fattori scatenanti universali della collera sarebbe la sensazione di trovarsi in pericolo. Il segnale di pericolo può venire non solo da una vera e propria minaccia fisica, ma anche, anzi più spesso, da una minaccia simbolica all’autostima o alla dignità della persona, ad esempio quando essa è trattata in modo ingiusto o sgarbato, insultata o umiliata o, ancora, quando vede frustrati i suoi tentativi di raggiungere uno scopo importante. Questa percezione di pericolo è il fattore innescante che scatena una tempesta nel sistema limbico, producendo un duplice effetto sul cervello. Parte di tale tempesta si traduce nel rilascio delle catecolamine, sostanze che inducono un’onda rapida ed episodica di energia. Questa tempesta di energia dura qualche minuto, preparando l’organismo ad un buon combattimento o ad una fuga veloce, a seconda del modo in cui il cervello emozionale giudica la situazione contingente. Nel frattempo, la seconda reazione, guidata dall’amigdala e mediata dalle ghiandole surrenali, crea una situazione tonica di fondo che predispone all’azione e che dura molto più a lungo della tempesta di energia legata al rilascio delle catecolamine. Questo eccitamento corticosurrenale generalizzato può durare per ore e anche per giorni, con l’effetto di mantenere il cervello emozionale in uno stato di particolare attivazione e diventando così la base sulla quale è possibile innescare molto velocemente eventuali reazioni successive. In generale, questa situazione di innesco creata dall’attivazione corticosurrenale spiega come mai individui già provocati o irritati siano tanto inclini alla collera. Gli stress – di qualunque tipo essi siano – creano uno stato generale di attivazione corticosurrenale, abbassando così la soglia necessaria per innescare la collera.  

Ad esempio, un individuo che abbia avuto una giornata molto dura sul lavoro è particolarmente soggetto, una volta tornato a casa, ad andare su tutte le furie per qualcosa che in altre circostanze non arriverebbe a scatenare una simile reazione.

Zillmann ha scoperto che quando l’organismo si trova già in uno stato di tensione, l’emozione successiva è particolarmente intensa. Questa dinamica è all’opera quando un individuo si infuria. Zillmann vede l’escalation della collera come “una sequenza di provocazioni, ciascuna delle quali innesca una reazione eccitatoria che si dissipa lentamente”. In tal esequenza, ogni pensiero – o percezione – successivo, tale da innescare la collera, diventa una sorta di micro-fattore scatenante che stimola il rilascio delle catecolamine controllato dall’amigdala, e il cui effetto va ad aggiungersi all’ondata di ormoni prodotta dagli stimoli precedenti. Il secondo pensiero emerge prima che il primo sia svanito; il terzo si aggiunge ai primi due, e così via; ogni onda cavalca la scia di quelle precedenti, aumentando rapidamente il livello di attivazione fisiologica dell’organismo. Un pensiero che insorga in un punto intermedio di questa catena scatena una collera di gran lunga più intensa di uno che si presenti al suo inizio. In altre parole, la collera si autoalimenta; il cervello emozionale si riscalda. E l’ira, non più frenata dalla ragione, sfocia facilmente nella violenza. A questo punto le persone diventano implacabili e non sentono più ragioni; tutti i loro pensieri ruotano intorno a idee di vendetta e rappresaglia, incuranti delle possibili conseguenze. Secondo Zillmann, questo elevato livello di eccitazione “alimenta quell’illusione di potere e invulnerabilià che può ispirare e facilitare l’aggressività”; infatti, “venendogli meno la guida cognitiva” l’individuo adirato torna a far ricorso alle risposte più primitive..

La collera è un’emozione assai complessa, sia per le cause che la possono istigare, sia per le risposte che possono essere prodotte all’interno del nostro corpo e della nostra mente. Il corpo ha due distinti modi di comportarsi. Il primo accompagna i sentimenti che la persona prova durante l’episodio di collera. Essi si esprimono mediante dei comportamenti il cui scopo evoluzionistico è quello di intimidire gli altri. Alcuni esempi sono: stringere le mani a pugno, chiudere gli occhi a fessura, modificare la postura normale in un’altra predisposta all’attacco, ecc. Si tratta di segnali che perseguono lo scopo di’inviare messaggi particolari di natura intimidatoria. Essi vengono inseriti nella cosiddetta comunicazione non verbale. In genere questi processi non producono conseguenze negative, a meno che non sia molto elevato il livello di arousal, in tal caso aumentano la probabilità d’incorrere in problemi, addirittura mortali.

La seconda categoria di disturbi somatici si presenta non più simultaneamente, ma lontano nel tempo, rispetto all’episodio in cui la collera è esplosa in tutta la sua forza. Si tratta di conseguenze varie e talvolta piuttosto gravi.

Per quanto estremamente forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione facciale, ben riconoscibile in tutte le culture studiate.

L'aggrottare della fronte e delle sopracciglia e lo scoprire e digrignare i denti, rappresentano le modificazioni somatiche del viso che meglio esprimono l'emozione della rabbia. Le sensazioni soggettive più frequenti possono essere: la paura di perdere il controllo, l'irrigidimento della muscolatura, l'irrequietezza ed il calore. La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso. L'organismo si prepara all'azione, all'attacco e all'aggressione. Si possono avere anche variazioni psicofisiologiche: accelerazione del ritmo cardiaco, aumento della pressione arteriosa, aumento della tensione muscolare e della sudorazione. Infatti, ogni emozione genera una precisa risposta fisiologica nel nostro organismo.

Di recente gli studiosi hanno scoperto che esistono delle similitudini tra le risposte fisiologiche della paura e quelle della rabbia, pur restando due emozioni diverse dal punto di vista fisiologico.

Quando abbiamo paura il nostro organismo produce una sostanza chiamata epinefrina (o adrenalina), la stessa che viene secreta quando ci arrabbiamo. Nel caso della rabbia però, l’epinefrina è accompagnata da un altro ormone surrenale: la norepinefrina (o noradrenalina).

Per la rabbia la produzione di questi due ormoni genera alterazioni al nostro stato fisico:

  • Aumento della pressione sanguigna
  • Decelerazione della frequenza cardiaca
  • Vasocostrizione (si restringono i vasi sanguigni che portano sangue ai muscoli)
  • Aumento della temperatura corporea
  • Molte funzioni fisiologiche, sulle quali non abbiamo nessun controllo, subiscono dei cambiamenti rilevanti durante un attacco di rabbia:
  • Respirazione accelerata e irregolare
  • Calore e aumento della sudorazione
  • Battito cardiaco più frequente e irregolare
  • Senso di irrequietezza
  • Tensione dei muscoli degli arti
  • Dolore alla schiena
  • Mal di testa
  • Tremito alle mani
  • La voce strozzata
  • Balbettio
  • Deglutizione difficoltosa
  • Contrazione e bruciori allo stomaco

A livello cerebrale la rabbia, così come le altre emozioni, interessa il sistema libico e, in particolare, un’area chiamata amigdala. Nei momenti di rabbia, a livello vegetativo hanno luogo delle modificazioni rilevanti, fra cui le più importanti sono: dilatazione della pupilla, aumento della pressione arteriosa, accelerazione del respiro, irregolarità della frequenza cardiaca, tensione muscolare, vasodilatazione periferica insieme con vasocostrizione viscerale.

Le situazioni che ingenerano collera sono numerose, tuttavia, si possono raggruppare in alcune categorie.

Le situazioni frustranti. Esse afferiscono a due diverse sottocategorie. Nella prima ci troviamo di fronte ad un ostacolo che ci impedisce di raggiungere importanti obiettivi dal punto di vista lavorativo, relazionale, sentimentale, ecc. Esaminando tale situazione in modo più approfondito, scopriamo gli elementi caratteristici di questo tipo di frustrazione: vi è un obiettivo al quale aneliamo pervenire, uno sforzo da parte nostra teso in questa direzione ed un ostacolo insormontabile. Molti tendono a rispondere a questa situazione con tumulti somatici e sentimenti negativi, dei quali la collera è spesso quello più frequente. Più subdola, ma non per questo meno diffusa, è la seconda situazione frustrante. Essa consiste nel creare delle aspettative nelle persone e non rispettarle. Quando le promesse vengono continuamente disattese, collera e aggressività da parte di chi è stato disonestamente illuso sono reazioni altamente prevedibili. Non tutti però rispondono con la collera alle situazioni frustranti.

Le prepotenze. La collera è il naturale prodotto quando ci sentiamo attaccati in modo da noi ritenuto illegittimo. Il problema sta nel modo con cui rispondiamo in situazioni di questo tipo.

Le ingiustizie. Questa è una categoria valutativa saldamente ancorata alle norme sociali e ai valori da noi condivisi. La collera, in questo caso, è addirittura un segnale positivo. A fronte di questa complessa reazione interna, però, ecco un’insidia: la difficoltà di alcuni di rispondere adeguatamente.

Le difese. Non sono solo quelle che vengono attivate nei confronti di attacchi di natura fisica. Altre invece sono le situazioni eversive nei confronti delle quali ci si difende con la collera.

Difesa nei confronti del senso di colpa e di vergogna

Difesa nei confronti di critiche mal confezionate 

Difesa nei confronti di un abbandono di natura affettiva

Difesa dall’impotenza 

Difesa contro l’ansia o la paura

Irritazioni di varia natura. Si tratta di una categoria residuale, nella quale far confluire tutte quelle situazioni che non sono collocabili all’interno delle precedenti. Sono situazioni estremamente individualizzate, che sono il portato della nostra storia culturale e morale.

Oltre a queste situazioni vi sono poi alcuni comportamenti in grado di produrre collera.  

I comportamenti non verbali (paralinguistici):

  • Piagnucolare. Tale forma di contrasto relazionale è particolarmente irritante.
  • Il volume alto della voce. Denota una perdita di autocontrollo piuttosto evidente, che spinge l’antagonista a rispondere per le rime, alzando a sua volta il volume della voce
  • Il tono di sottovalutazione/disprezzo nei confronti dell’interlocutore.

I comportamenti verbali:

  • Fornire consigli non richiesti o nel momento meno opportuno
  • Etichettare l’altro
  • Formulare una critica distruttiva
  • Colpevolizzare
  • Porre dei limiti al comportamento altrui in modo brusco e perentorio
  • “Leggere il pensiero” degli altri
  • prendere in giro e farsi beffe dell’altro

Le prime e più preoccupanti conseguenze dello stato di collera hanno una natura organica. Viene immediatamente innalzato il livello di attivazione sottocorticale, ossia l’arousal, mentre dal punto di vista psicologico la situazione viene vissuta come una forma più o meno elevata di tensione, cui possono seguire sentimenti di colpa e stati di depressione. Situazioni di questo tipo, inoltre, possono attivare malattie, anche molto gravi. Secondo diversi studiosi, tali patologie sono raggruppabili nelle seguenti cinque categorie:

Sistema immunitario. E’ stato ormai accertato che uno stato prolungato di collera accresce la nostra vulnerabilità a contrarre diversi tipi di malattie, più o meno come avviene nel caso del di stress. Si assiste, infatti, ad un abbassamento dei macrofagi (che sona alla base del sistema immunitario), dell’attività neutrofila (necessaria per combattere i batteri) e della capacità di rispondere a virus latenti. Di converso, se nella vita di una persona gli episodi di collera ad alta intensità sono rari, oppure la collera viene espressa in modo assertivo, gli effetti negativi non fanno la loro comparsa, o nel caso peggiore sono fortemente limitati.

Colesterolo. E’ stata reiteratamente dimostrata la relazione tra personalità collerica ed alti livelli di colesterolo.

Disturbi a carico dell’apparato gastrointestinale: Tutte le persone che si arrabbiano facilmente sanno quali sono le conseguenze sul loro stomaco. L’aumento di acido cloridrico può causare gastrite, ulcera e persino problemi al colon la cui mucosa sembra essere molto sensibile alla rabbia repressa.

Disturbi cardiovascolari. Nel corso del 2000 Williams e collaboratori hanno accertato che, fra le conseguenze negative che possono derivare da una collera frequente ed intensa, vi possono essere anche effetti sfavorevoli dal punto di vista cardiovascolare. La tendenza alla collera come tratto di personalità colloca gli uomini e le donne adulti in una situazione di forte pericolo, al di là dei fattori di rischio biologici.

Ictus e sofferenze neurologiche. Lo studio di riferimento è quello condotto da Everson (1999). Risultato. Le persone che non controllano la loro collera, facendola esplodere quando sono provocate, raddoppiano le loro probabilità di subire un ictus o altre gravi malattie neurologiche nei successivi 8 anni, rispetto a coetanei non collerici. La collera silente e quella controllata non innalzano il rischio di contrarre questo tipo di malattie.

Cancro. I dati in questo caso sono meno chiari rispetto a quanto rilevato nei confronti di altre malattie. Tuttavia è diffuso il convincimento che la collera silente, non espressa, possa avere un ruolo nella genesi del tumore mammario e in quello del retto.

Di fronte a questi dati provenienti dalla ricerca non possiamo che convenire con Confucio: “una persona arrabbiata è piena di veleno”.

Inoltre, l’escalation della collera provoca conseguenze:

A livello fisico, come aumento del glucosio nel sangue, aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna, respirazione debole e difficoltosa, mal di schiena, mal di testa e aumento della sudorazione. Sono questi alcuni dei campanelli d’allarme che segnalano che il nostro fisico sta subendo degli stress che possono portare a malattie croniche.

A livello psicologico, come difficoltà di concentrazione, scarso rendimento, sonnolenza ed incapacità di mettere a fuoco le situazioni, tutti sintomi che possono provocare ulteriori problemi emotivi come depressione, spossatezza, irritabilità, nervosismo e ansia.

Sul comportamento, che si traducono in abuso di farmaci, uso di droghe, bulimia, alcolismo, tabagismo, irrequietezza, impulsività, mancanza d’obiettività, desiderio di fuggire e d’isolarsi.

Sul lavoro, causando scatti di nervi, insoddisfazione, problemi legali, cattivi rapporti con i colleghi, cambiamenti frequenti e facilità ad infortunarsi.

I BELIEF DELLA PERSONA COLLERICA

I belief sono quei radicati convincimenti che determinano in larga misura le nostre distorsioni cognitive relative a noi stessi e agli altri; la loro principale caratteristica è di non essere immediatamente evidenti. Ecco i belief più ricorrenti:

Le cose devono andare esattamente in un certo modo. Qualsiasi altra direzione è sbagliata. Questo convincimento è tipico delle persone rigide e dogmatiche. Ogni scostamento dalla linea ritenuta corretta viene non solo considerato un errore, ma un affronto, cui rispondere con la collera.

La gente è fondamentalmente cattiva.

Devo attaccare gli altri prima che attacchino me. Questo porta ad essere sempre in uno stato di allerta.

Le persone dovrebbero comportarsi in modo decente. Non riesco proprio a capire, né tantomeno ad accettare, il loro comportamento. Alla base vi è una serie di valori ritenuti assoluti, che devono essere da tutti rispettati. Chi non lo fa si pone al di sotto della morale e deve essere in qualche modo sanzionato.

Per ogni mio problema devo sempre trovare la soluzione perfetta. Questo belief ingenera frustrazione, cui segue speso la collera esplosiva o molti altri sentimenti negativi, tra cui la caduta dell’autostima qualora gli insuccessi siano molto frequenti.

La vita è ingiusta. Conseguenza: scetticismo, tensione e collera.

Non devo mai esprimere i miei sentimenti, perché potrei ferire qualcuno. Questo assunto non produce la collera esplosiva, ma quella silente.

Ellis ha identificato una lunga serie di idee disfunzionali, chiamate distorsioni cognitive, che si possono raggruppare in alcune categorie principali:

Doverizzazioni o uso assolutistico del verbo dovere

Consistono nel considerare un’esigenza assoluta ciò che nella maggior parte dei casi sarebbe da considerarsi solamente preferibile (es: “Devo essere amato da tutti”, “Gli altri devono assolutamente comportarsi come voglio io”, ecc.).

Selezione arbitraria delle informazioni

In ogni momento della nostra esistenza i nostri organi sensoriali sono bombardati da stimoli che portano informazioni. La nostra struttura neurologica ci impedisce di prestare attenzione ad ognuno di essi. Siamo costretti a scegliere, talvolta consapevolmente, talvolta no, gli stimoli ai quali prestare attenzione. Questo vincolo biologico, vale a dire questa nostra incapacità di dedicare attenzione a tutti gli stimoli, può costituire la base per la produzione di un’emozione negativa al posto di una positiva.

Ipergeneralizzazione

Estendere arbitrariamente alcune caratteristiche di una determinata persona a tutto un gruppo. Questo vale, oltre che per le persone, anche per le esperienze che possiamo aver fatto. Ad esempio: “Bisogna stare sempre in guardia con i tossicodipendenti”. Per modificare questa distorsione cognitiva basta chiedersi: “Quante volte si sono verificati eventi che confermano affermazioni di questo tipo? Quante volte si è verificato il contrario?”.

Pensiero catastrofico o negativo

La realtà esterna viene fortemente esagerata ed enfatizzata attraverso l’uso di un linguaggio stracarico di aggettivi negativi, per cui il verificarsi di certi eventi viene considerato “terribile” ed “orrendo”, invece che semplicemente sgradevole o fastidioso.

Etichettatura globale

Etichette che descrivono negativamente la persona nella sua interezza, fomentando la collera in quanto ci fanno vedere nell’altro solo ciò che non va bene. In tal modo vengono del tutto perse quelle informazioni che possono fornire lo spunto ad una lettura diversa. Proprio per questa ragione l’etichettaturta viene chiamata “globale”. Un esempio: Il collega? “un imbecille”, “hai fatto una cosa stupida e quindi sei uno stupido”. Da queste considerazioni scaturiscono valutazioni globali che possono essere riferite a sé stessi o agli altri.

Lettura del pensiero

Consiste nell’attribuire a qualcun altro pensieri, sentimenti ed emozioni senza avere a conferma prove plausibili. Esempio: “Il mio capo è convinto che io non sappia fare il mio lavoro”.

Colpevolizzazione

Consiste nell’incolpare l’altro.

Svalorizzazione degli altri

E’ una logica conseguenza di molti dei belief e delle distorsioni cognitive descritte in precedenza. Se il mondo è popolato da losche figure, non sorprende che esse siano anche di scarso spessore e valore. “Quella? Sta facendo carriera solo perché è una raccomandata!”.

Pensiero dicotomico

Non esistono mezze misure. Bianco o nero. O tutto bene o tutto male. “Se accetto un compromesso significa che sono un debole”.

Fallacia del cambiamento

Devono cambiare gli altri, in tal modo evitiamo a noi l’onere di cambiare.

Personalizzazione

Tendenza a personalizzare gli eventi. Credersi al centro del mondo. E’ un ritorno all’egocentrismo infantile, la nostalgia delle antiche attenzioni dei genitori.


LA MANIFESTAZIONE DELLA COLLERA

Ognuno di noi ha un suo stile personale, anche quando si tratta della collera e della sua manifestazione. Alcuni cercano di celarla a tutti i costi (passiva), altri la fanno esplodere (esplosiva).

La collera passiva

“Trattenere a lungo la collera”, diceva Buddha, “è come stringere un tizzone ardente con l’intenzione di lanciarlo contro qualcuno. Ma è chi lo tiene in mano a bruciarsi”.

La collera passiva tende ad essere manifestata in modi diversi, che dipendono strettamente dalla cultura acquisita dalla persona nel corso della sua esistenza, dai suoi valori e dalle sue abilità socio-interpersonali, che in questo caso sono assenti. Ecco gli stili più diffusi fra coloro che sono predisposti a manifestare la collera in maniera passiva.

Lo stile rimuginativo. Apparentemente sembrano non soffrire in alcun modo la situazione. In realtà il loro corpo è teso e la loro mente occupata da quei pensieri automatici descritti precedentemente. Preferiscono esprimere la loro collera in maniera poco visibile. Ad esempio tendono ad accumulare risentimento e rancore verso il presunto autore del torto.

Lo stile manipolativo. Lo scopo prioritario è quello di ottenere una rivincita sull’altro in modo subdolo, evitando un confronto chiaro che inevitabilmente si esprimerebbe attraverso un conflitto altrettanto chiaro. Il loro obiettivo è quello di ferire l’interlocutore, attribuendogli la responsabilità di tutti i mali.

Lo stile accusatorio. Caratteristica della persona orientata ad adottare questo stile è quella di giustificarsi in tutte le possibili situazioni, di autoattribuirsi le cause di eventuali insuccessi, anche se non dipendono dalle sue azioni, di richiedere in qualche modo critiche pesanti da parte degli altri e di accettarle supinamente come una condanna non modificabile. Il suo modo di esprimere la collera è la probabile conseguenza di un precario livello di autostima, di cui si sente responsabile e addirittura colpevole. Non sono gli altri che devono essere aggrediti, ma lui stesso.

Lo stile evasivo. Tipico della persona che si trincera sulle sue posizioni evitando di entrare in conflitto con gli altri, è un perfetto impermeabile, che non lascia passare alcuna goccia emozionale negativa. Incassa senza attaccare o sentirsi emozionalmente coinvolta. Riesce ad accettare gli attacchi da parte degli altri in quanto li ritiene sterili ed improduttivi. Mentre l’altro lo critica, orienta il suo pensiero altrove e si sottrae mentalmente alla situazione.


La collera esplosiva

Anche in questo caso è possibile ravvisare una tipologia quanto mai varia ed interessante.

Lo stile minaccioso. Si usano le minacce che servono per spaventare l’interlocutore nel momento in cui divampa il litigio.

Lo stile violento. La sua collera è talmente esplosiva da fargli perdere effettivamente qualsiasi forma di autocontrollo.

Lo stile vandalico. E’ tipico della persona che preferisce scaricare la sua collera sugli oggetti. Tipica forma della cosiddetta aggressività dislocata.

Lo stile prepotente, da bullo. La persona fa costante ricorso a minacce ed intimidazioni. Lo scopo? Quello di piegare il suo interlocutore e spingerlo a piegarsi ai suoi desideri. Ovviamente nel far questo alza il volume della voce, toglie la parola, gesticola in modo intimidatorio, ecc. Il suo stile non è molto dissimile da quello usato dalla persona violenta. Se ne discosta perché non scade agli stessi livelli di primitività, mostrando la capacità di mantenere un barlume d’autocontrollo. Si differenzia invece dalla persona caratterizzata dallo stile minaccioso, in quanto la prepotenza è una sua dote personale usata costantemente.

Lo stile accusatorio. Il suo modo tipico di espressione consiste in continue e spesso ingiustificate attribuzioni di colpa all’altro. Con tuuta probabilità si tr4atta di persone caratterizzate dalla cosiddetta fallacia del cambiamento e da una propensione alla colpevolizzazione dell’altro. La fallacia del cambiamento consiste nel lamentarsi del fatto che l’altro non solo è diverso da quel che si pensava, ma neanche si è sforzato per adeguarsi alle aspettative.

Lo stile egoista. Alla base di questo comportamento vi è il belief. “homo homini lupus”. Tipico della persona in questione è non tenere in alcun conto i bisogni e le attese degli altri.

Lo stile vendicativo. Gli insulti, o presunti tali, vanno fatti pagare duramente. Anche questo è un modo primitivo di gestire i rapporti umani.

LA PSICOTERAPIA DELLA RABBIA

Lo scopo della psicoterapia della rabbia, seguendo il modello più accreditato, cioè quello Cognitivo-Comportamentale, è quello di facilitare una gestione adeguata della propria rabbia attraverso l'acquisizione della consapevolezza del proprio vissuto emotivo, il riconoscimento di quei fattori (esterni ed interni) che sono in grado di scatenarla nonché dei pensieri disfunzionali sottostanti. Innanzitutto, conoscere ciò che ci provoca permette anche di mettere a punto delle strategie preventive. Si tratta d’usare una creatività costruttiva e non d’eludere il problema.

Questo, ad esempio, è il modulo complessivo elaborato da Kassanove e Tarate nel 2002. In esso, automonitoraggio ed informazioni tipiche dei test confluiscono a fornire un quadro esaustivo della collera di una persona.


Descriva l’ultimo episodio in cui Lei si è arrabbiato/a e risponda alle successive domande.

Episodio:

Cause. Che cosa ha dato inizio all’episodio?


La sua esperienza interna. Descriva i pensieri che sono affluiti alla Sua mente in quella specifica situazione, indichi i sentimenti o le emozioni vissute, le reazioni corporee e cosa voleva fare.

Ho pensato:


Nel corpo ho sentito:


Volevo:


La Sua espressione esterna. In che modo ha manifestato la Sua collera? Quali segni di collera sono stati visti dagli altri?


Le reazioni degli altri. In che modo gli altri hanno reagito alla sua collera? Che cosa hanno detto o fatto? Che cosa ritiene pensassero in quel momento?

Ho osservato che:


Ritengo che pensassero:


Risultati. Che cosa si è verificato alla fine dell’episodio di collera? La relazione con l’altra persona ha subito dei cambiamenti? La collera Le è stata d’aiuto? In che modo la Sua collera ha prodotto risultati nocivi?

Imparare a respirare

Respirare è il risultato di meccanismi piuttosto complessi che devono agire sinergicamente. La respirazione produce effetti altrettanto complessi che consentono all’organismo di sopravvivere. Quando la respirazione non avviene in modo ottimale si verificano alcuni problemi. I risultati di una disfunzione respiratoria sono quanto mai vari: la digestione viene ad essere ostacolata ed in certi casi impedita, la scarsa ossigenazione del sangue contribuisce ad alimentare stati d’ansia, di depressione, di affaticamento, ecc., togliendo alla persona la capacità di fronteggiare al meglio eventuali situazioni ansiogene. Per questo motivo, alcune tecniche respiratorie possono togliere alcune fastidiose tensioni.

Il rilassamento

Non rilassarsi significa diventare sempre più stressati ed incapaci d’affrontare in modo costruttivo i problemi di tutti i giorni. Lo stress, infatti, alimenta la nostra irritazione fino a farci saltare i nervi. Quando ci irritiamo i nostri muscoli si tendono moltissimo ed è importante esercitarsi nelle tecniche di rilassamento. Rilassarsi, infatti, è estremamente utile in molte situazioni ed è vitale per poter condurre una vita equilibrata e serena, inoltre è anche un supporto indispensabile per porre rimedio ai danni provocati dalla nostra collera. Esistono forme di rilassamento che aiutano a rallentare o bloccare l’escalation dell’irritazione. Alcune sono prettamente fisiche, come il Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson, altre coinvolgono maggiormente la sfera cognitiva e immaginativa, come il Training Autogeno, la Mindfulness e la Meditazione. Compito del terapeuta sarà quello di identificare quella più efficace per ogni singolo paziente. E’molto utile sperimentare più di una tecnica di rilassamento, in questo modo si ha la possibilità di scegliere quelle che meglio aderiscono alle caratteristiche della persona.

Monitorare e modificare i propri pensieri automatici

Il soggetto si concentra sugli eventi cognitivi al fine di identificare le sue distorsioni cognitive. I passaggi sono:

Analizzare i fatti. Evento: descrivere sinteticamente l’episodio che vi fa arrabbiare. Impatto emotivo: annotare i sentimenti che ha provato (frustrazione, rabbia, sdegno, delusione…). Intensità: quantificare i sentimenti provati secondo una scala che va da 1 (minima intensità) a 10 (massima intensità).

Elencare e valutare i pensieri automatici. Elencare tutti i pensieri che sono affluiti alla mente ed indicare, per ognuno, quanto si crede ad essi su una scala che va da 1 (minima adesione) a 10 (massima adesione).

Distorsioni cognitive. Identificare, pensiero per pensiero, l’eventuale distorsione cognitiva che può averlo prodotto.

Pensieri ragionevoli. Cambiare i pensieri automatici prima elencati in altri ragionevoli, cioè in pensieri che non suscitano emozioni negative. Inoltre indicare quanto si crede in ognuno di questi pensieri ragionevoli, attenendosi a scala da 1 (minima adesione) a 10 (massima adesione).

Risultati. Fare una seconda valutazione di tutti i pensieri automatici. La nuova valutazione si scosterà dalla precedente. Infine si valutino nuovamente anche le emozioni inizialmente indicate e valutate.

Un’analisi di questo tipo permette alla persona di entrare nella trama dei suoi pensieri, di identificarli e di vederli come un qualcosa di concreto e non elusivo. E quando una cosa è concreta è più facilmente modificabile. Inoltre ciò che il soggetto fa al 4 punto è quello di identificare e trascrivere dei pensieri realistici neutri o meglio ancora positivi. Ciò si chiama “cambiamento del dialogo interno”.

Modificare il proprio dialogo interno

Il dialogo interno è ciò che il soggetto dice a sé stesso silenziosamente e ciò a cui pensa. Esso può costituire fonte di emozioni negative o positive. Nella precedente scheda di monitoraggio i pensieri della fase 2 inducono emozioni negative talvolta molto intense, mentre quelli descritti nella fase 4 tendono a produrre emozioni sostanzialmente positive. Il gioco consiste proprio nel sostituire un dialogo interno negativo con un dialogo interno positivo. Affinché tale esercizio di sostituzione riesca, può essere utile mettere per iscritto il dialogo interno, identificando inizialmente i diversi pensieri che in esso sono presenti e successivamente sforzandosi di scoprirne altri ad essi antagonisti.

Dobbiamo ad Albert Ellis la messa a punto di uno strumento che può essere efficacemente utilizzato per mettere a confronto pensieri distorti e belief con pensieri antagonisti. La procedura principale ha il nome di “disputa” e consiste nell’attuazione dei seguenti quattro passi:

  • Identificare i pensieri negativi
  • Generare pensieri antagonisti
  • Valutare il più obiettivamente possibile le prove che supportano gli uni e gli altri
  • Elaborare pensieri adattivi

Il punto centrale della disputa consiste nel verificare se, e in che misura, i pensieri e i bilief del soggetto corrispondono effettivamente alla realtà. Questo significa arricchire l’impostazione mentale di una parte importante della mentalità scientifica, quella che ci spinge ad osservare la realtà in modo più chiaro ed oggettivo. Seguendo questa linea di pensiero la persona ammette che i suoi pensieri e i suoi belief non sono dei fatti ma, nella migliore delle ipotesi, delle congetture e intuizioni e, nella peggiore, dei veri e propri virus cognitivi di cui conviene liberarsi. E’ solo attraverso l’esame della realtà che il soggetto può scoprire la debolezza di molti dei suoi pensieri e credenze. Questo primo passo lo induce a recuperare altri pensieri e altri belief che, questa volta, godono di una base fattuale più solida, tale da spingerlo verso un cambiamento.

La disputa sembra un procedimento piuttosto facile, in realtà i problemi sorgono quando la persona deve sostituire i pensieri disfunzionali in altri funzionali, poiché si tratta di cambiare abitudini cognitive ben radicate.

Di fronte ad una situazione irritante o frustrante il collerico risponde d’impulso, trascinato com’è dai suoi pensieri negativi e dalle sue emozioni. Non vede i problemi, o meglio li considera come ostacoli che devono essere sormontati. Oltre che considerare il problema come un ostacolo da abbattere, carente è anche l’assunzione di decisione. Spesso il collerico opta per soluzioni che producono effetti immediati considerati positivi. Non si accorge, però, che quelli lontani nel tempo hanno spesso un segno negativo e sono tali da azzerare quelli positivi raggiunti nel breve periodo

Il procedimento è il seguente:

  • Scrivere una provocazione o descrivere una situazione in cui ci si è sentiti veramente arrabbiati.
  • Descrivere la reazione che è seguita o il comportamento scorretto messo in atto.
  • Elencare dei modi costruttivi per gestire la situazione evitando di ricorrere alla collera (strategia di prevenzione).

ESEMPIO:

Situazione numero:

Provocazione/situazione di rabbia

Reazione/comportamento scorretto

Tecnica di prevenzione/comportamento alternativo

1.

Sto aspettando una mia amica ad un appuntamento, è passata mezz’ora e ancora non si vede!

Sono scocciata. Penso che sia una maleducata. “Questa è mancanza di rispetto, come se io non avessi nient’altro da fare!”.

Quando arriva le faccio la predica e non le nascondo la mia irritazione.

E’ in ritardo, è vero. Ma prima di arrabbiarmi dovrei chiederle il motivo del suo ritardo…magari c’è molto traffico o ha avuto un imprevisto. Cerco di non agitarmi.


La comunicazione assertiva

L’assertività è la competenza ad affrontare le situazioni, sapendo scegliere ogni volta il comportamento più adatto per raggiungere i propri obiettivi senza prevaricare (comportamento aggressivo) o essere sottomessi (comportamento passivo) dagli altri.

Il soggetto passivo presta un’enorme attenzione agli altri e ha come obiettivo principale l’ottenere la benevolenza di coloro che lo circondano, evitando qualsiasi forma di conflitto. In tal modo è notevolmente influenzato dall’opinione degli altri e tende a subire senza opporsi le prevaricazioni. Spesso questi soggetti hanno un’elevata ansia sociale. A questo atteggiamento possono conseguire frustrazione, senso di colpa, inibizione e mortificazione della propria dignità.

La persona aggressiva è attenta solo a sé stessa, poiché il suo obiettivo primario è il successo personale e non esita ad utilizzare metodi coercitivi e distruttivi per ottenerlo. Questo comportamento spesso provoca sensi di colpa, aggressività ed ostilità da parte degli altri e mortificazione della dignità altrui.

L’individuo assertivo, invece, mostra un’attenta considerazione di sé e degli altri e utilizza metodi motivanti e gratificanti. Questo comportamento, che deriva da una buona fiducia in sé e negli altri, non provoca nessun sentimento di ansia e di insicurezza.

Lo scopo del training assertivo è quindi quello di aumentare la capacità del soggetto di mettere in atto comportamenti assertivi, mediante una serie di procedure. Queste tecniche sono volte a far acquistare ad un soggetto anassertivo la competenza sociale, che si basa su un insieme di abilità verbali, non verbali e cognitive.

Il comportamento non verbale dà messaggi molto precisi sull’atteggiamento del soggetto verso sé e gli altri ed è composto da diverse abilità (contatto visivo, espressione mimica, volume e intonazione della voce, postura, spazio corporeo, gestualità) che possono venir potenziate e rese più assertive con un adeguato addestramento.

Le abilità verbali si distinguono in abilità di conversazione (per iniziare o far progredire una comunicazione) ed abilità protettive (utilizzabili in situazioni di difficoltà come la critica, il rifiuto, la necessità di chiedere un favore, ecc.).

Le abilità cognitive, infine riguardano l’autostima e la capacità di risolvere problemi.

Lo stile assertivo, produce i benefici maggiori e più duraturi, ma, come tutti gli apprendimenti, richiede un periodo di esercizio, che implica una revisione, talvolta critica, del proprio modo d’interloquire con gli altri.

La comunicazione assertiva è un modo di comunicare che può essere visto come una panacea nei confronti di numerose difficoltà, che spaziano dalla timidezza, alla collera. Comunicare in modo assertivo significa affermare i propri diritti, esprimere i propri bisogni e sentimenti senza ferire l’altro. Per possedere questo tipo di comportamento occorre rafforzare una serie di abilità, come imparare a formulare e ricevere critiche nel modo corretto, ascoltare l’altro in maniera attiva ed empatica, imparare a dire no quando occorre, eccetera…

La capacità di ricevere e formulare critiche, ad esempio, anziché urtare la suscettibilità dell’altro, ne previene la collera. I problemi sorgono quando questa abilità non esiste affatto, oppure viene malamente impiegata. Le conseguenze negative prodotte, vanno dal risentimento alla frustrazione, da un peggioramento dell’autostima della persona criticata al suo desiderio di vendetta. Al contrario, critiche formulate in modo corretto tendono a motivare la persona, a migliorarne le prestazioni future, a rendere più profondi e fertili i rapporti interpersonali.

Esistono fondamentalmente due tipi di critiche, ecco gli aspetti che le distinguono:

Critica distruttiva:

E’ rivolta contro la persona che è etichettata negativamente

E’ imprecisa, generica e totalizzante, utilizza termini assoluti (sempre, mai, tutto, nulla…)

Mira a colpevolizzare la persona

Tende a chiudere il dialogo

Critica costruttiva:

E’ rivolta alla prestazione o ai comportamenti della persona

E’ precisa, specifica e situazionale

Mira a migliorare la prestazione o i comportamenti della persona

Mantiene aperto il dialogo

La critica, assertivamente modulata, può costituire uno strumento adeguato. L’abilità della critica consiste nel fornire indicazioni precise, in termini positivi, esprimendo convinzioni o disappunto senza urtare i sentimenti e le sensibilità degli altri.

Accettare le critiche è un’abilità complementare a quella del criticare assertivamante. Alle critiche costruttive si risponde in modo semplice e diretto, riconoscendone la validità, senza cercare scuse.

L’abilità d’essere assertivi in situazioni negative si definisce asserzione negativa. E’ un’abilità che si coltiva con la disposizione d’animo di chi non teme di imparare dai propri errori e dalle osservazioni altrui.

In alcune situazioni è necessario difendersi dalle critiche, qualora siano manipolative o aggressive. La persona assertiva si sforza di trasferire il dibattito dal livello della contrapposizione violenta, in cui la persona è l’oggetto del contendere, a quello del confronto di idee, schietto ed argomentato. In altre parole chi adotta uno stile assertivo mira a modificare le regole del gioco: non più conflitto violento, ma confronto democratico tra idee diverse.

In ogni caso, è doveroso sottolineare che, nei casi dove il discontrollo dell’impulsività e l’intensità della reazione rabbiosa fossero eccessivi e quindi pericolosi per se stessi e gli altri e laddove la sola psicoterapia non dovesse risultare sufficientemente efficace, va considerato l’ausilio di un adeguato supporto farmacologico, che può variare soggettivamente: in generale i farmaci più utilizzati in questi casi sono le benzodiazepine, alcuni tipi di stabilizzatori dell’umore e i neurolettici a basso dosaggio, talvolta in associazione tra loro.

In conclusione, il punto importante da comprendere a proposito della rabbia è che, nonostante venga spesso etichettata come emozione negativa, da evitare in noi come negli altri, di fatto diventa negativa e soprattutto distruttiva, quando non viene riconosciuta e usata al momento in cui emerge, ma viene repressa con conseguenze dannose non solo per se stessi, ma anche per gli altri. Il problema è che fin dalla tenera età ci viene insegnato che è cattivo e sbagliato esprimere la collera; ancora oggi questa emozione viene considerata inopportuna, irragionevole ed associata all’aggressività. La gente è spesso spaventata dalla propria rabbia: teme che la spinga a compiere qualche azione dannosa e, di conseguenza, ci si rifiuta di prestare attenzione alla collera degli altri e si esita ad esprimere la propria. E’ importante quindi considerare che, se non ci siamo mai concessi di esprimere la rabbia, probabilmente ne abbiamo accumulata una montagna dentro di noi. Reprimendola, è più probabile che la rabbia esploda in momenti inopportuni e soprattutto verso persone e situazioni che hanno poco a che fare con la causa originale della rabbia stessa. E’ fondamentale dunque, per la nostra salute psico-fisica, imparare ad esprimere la collera in maniera costruttiva ed appropriata. La rabbia usata costruttivamente aiuta a sviluppare fiducia in sé stessi in quanto non e' necessario che monti fino ad esplodere per esprimerla. Inoltre la rabbia, a differenza per esempio della disperazione, è un’emozione che, se giustamente canalizzata, può fornirci l’ energia necessaria ad effettuare importanti cambiamenti di vita. E’dunque fondamentale riconoscerla al momento in cui emerge, per quello che e': un meccanismo di protezione che ci segnala che c'e' qualcosa che non va, una reazione di insoddisfazione intensa, suscitata generalmente da una frustrazione che ci riguarda e che giudichiamo inaccettabile; dunque la rabbia, comunque venga espressa, in modo esplosivo o in forma repressa, agisce come un segnale d’allarme. La nostra rabbia ci mette a conoscenza del fatto che ci fanno del male, che i nostri diritti vengono violati, che i nostri bisogni e i nostri desideri non sono soddisfatti.

Imparare a manifestare la propria collera significa conoscere i propri reali bisogni e intrattenere relazioni più autentiche con le persone che ci circondano.

Letture consigliate:

D’Urso V., Arrabbiarsi, Il Mulino

Luhn R., Imparare a non arrabbiarsi, FrancoAngeli

Meazzini P., L’ira di Achille: come dominare la collera, quando è necessario, Giunti Editore

Hahn Nhat T., Spegni il fuoco della rabbia, Oscar Mondadori

D’Allancé M., Che rabbia!, Babalibri (quest’ultimo è indicato per i bambini)