“La meditazione è l’unico tempio in cui, quando entri, sei davvero all’interno di un tempio.” (Osho)

Con il termine “meditazione” che discende dal verbo latino “mederi” (misurare, pensare, riflettere), si intende una pratica che consente di diventare consapevoli del “qui” ed “ora” attraverso l’utilizzo di tecniche di concentrazione mentale. Le origini di ricerca della consapevolezza non possono essere ricondotte ad un contesto geografico e temporale preciso, poiché sono rintracciabili, seppure con nomi diversi, in un ampio territorio compreso tra la Cina e la Grecia, in un periodo compreso tra 2800 e 2200 anni fa. La meditazione è quindi una pratica molto antica, che consente di mettersi in contatto con la parte più intima di se stessi, con il Sé più profondo, quello che tendiamo a trascurare perché troppo presi dagli impegni e le incombenze di ogni giorno.

Gli esseri umani percepiscono la realtà attraverso il sistema sensoriale. La realtà è vista, sentita, annusata, ascoltata; i nostri apparati sensoriali, se ben funzionati, la registrano con una discreta oggettività, ma nel momento in cui subentra il pensiero che giudica e ordina le informazioni in arrivo, ecco che gli stimoli subiscono spesso una deformazione interpretativa, di cui non siamo coscienti e che dà un significato del tutto soggettivo al mondo esterno. La realtà quando oltrepassa il sistema sensoriale, passa attraverso un filtro cognitivo caratterizzato da moltissimi elementi: la struttura di personalità, i condizionamenti, gli apprendimenti, le componenti biologiche ed ereditarie, la cultura, i desideri, le paure, il modo di considerare se stessi e gli altri, il modo di vivere nel tempo e nel mondo, le esperienze passate e così via. Gli eventi così interpretati danno emozioni di vario genere e alla fine di questo processo l’individuo mette in atto un comportamento che sarà in sintonia con la sua interpretazione delle realtà e con l’emozione che tale interpretazione suscita e che causerà un cambiamento nell’ambiente circostante immettendo nuove informazioni. Il filtro interpreta gli eventi spesso in modo talmente soggettivo da rendere la realtà interna molto diversa da quella esterna. Si tratta inoltre di un processo molto automatico, di cui non abbiamo il controllo, e per lo più non ne siamo consapevoli. Va da sé che un’interpretazione poco adattiva e disfunzionale ci crea emozioni di disagio e ci fa emettere comportamenti poco consoni alla situazione, spesso senza che si sia in grado di esprimere a se stessi il perché sia dello stato d’animo, sia del comportamento e tanto meno si sia consapevoli del filtro cognitivo sottostante.

Succede così ciò che accade agli elefanti che se fin da piccoli tenuti legati ad un paletto, rimangono legati ad esso anche quando sono dei giganti, che con un solo strappo potrebbero liberarsi dal paletto e anche da chi ad esso li ha legati. Ma non lo fanno, perché nel loro pur primitivo filtro con cui danno un altrettanto primitivo senso alla realtà, c’è ben impresso l’apprendimento che al paletto si rimane legati, anche se il paletto alto un metro non è più la realtà attuale che può tenere intrappolati. Gli esseri umani hanno altrettanti paletti a cui rimangono legati quando potrebbero svincolarsi più o meno agevolmente. Ma non lo fanno, per lo stesso motivo. Hanno in qualche tempo e in qualche luogo imparato che non possono, che è solo così che si fa, che quella è la realtà e quello è il modo con cui si reagisce. Ognuno di noi ha dentro di sé uno o più pali alti qualche centimetro a cui rimaniamo inconsapevolmente imprigionati. La meditazione è un metodo per imparare a liberarsi da essi, solo che non è sufficiente un solo strattone, ma occorre intraprendere un lungo cammino di liberazione. Il fine ultimo della meditazione è infatti il cosiddetto “risveglio” o “liberazione” da uno stato di condizionamento, di limitazione e di dipendenza di cui dobbiamo liberarci per vivere in maggior pienezza la nostra vita. Per raggiungere tale liberazione tramite la meditazione occorre passare dalla acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé, intesa come un’attività volontaria che dopo avere osservato con distacco i movimenti psichici in relazione agli eventi, riplasma le risposte, così da superare i vecchi modi di pensare e da risanare le modalità di apprendimento.

La consapevolezza è volta a spezzare gli automatismi, che ci forniscono le risposte agli stimoli con estrema velocità e spesso senza nemmeno che ci sia coscienza di quale sia lo stimolo e la risposta che suscita in noi. Difficilmente riusciamo a soffermarci su noi stessi quel tanto che basta per comprenderci e per verificare se la risposta sia proprio la migliore possibile, se davvero rispecchia ciò che vogliamo dalla vita e da noi stessi, o ancora se ci rende felici e ci dà benessere.

 I pazienti che di sottopongono ad una psicoterapia per un particolare disturbo devono infatti per lo più imparare ad agire e non a reagire passivamente agli eventi, e per fare questo si affidano ad un consulente esterno che oltre ad avere l’abilità di diagnosticare e curare un particolare disagio, ha la funzione più generica ed esistenziale di osservatore esterno, di colui che non si immedesima nei processi psichici dell’altro, ma al contrario li rileva e li porta alla coscienza del paziente, insegnandogli ad avere risposte alternative e ad avere interpretazioni differenti della realtà e che si avvicinino il più possibile ad essa.

La meditazione è questo che insegna, a vivere nelle consapevolezza sia di sé stessi che della realtà, ed utilizzando come strumento per raggiungere tale stato non un’ osservatore esterno, un terapeuta, ma una parte di sé che rimane al di fuori ad osservare con distacco ciò che accade e poi decide consapevolmente come agire. Ciò non significa che la meditazione possa sostituire un percorso terapeutico. Vi sono condizioni patologiche che non possono essere risolte meditando: la meditazione NON è una psicoterapia, ma si potrebbe considerare come una sorta di "strategia d'intervento" che, se necessario, può essere praticata a supporto delle metodiche terapeutiche tradizionali al fine di favorire il benessere psicologico ed emotivo del paziente. Diciamo che la meditazione è un ottimo strumento da lasciare come bagaglio per la vita ai pazienti prima che lascino il nostro studio, per permettere loro di proseguire un lavoro su se stessi che con noi hanno iniziato e che è impensabile termini nel momento in cui ci salutano. La via verso il benessere deve essere percorsa da ognuno nella solitudine della personale ricerca della altrettanto personale felicità, non ci sono regole generali da seguire, ma solo strade interne che possono aprirsi meditando e che ognuno di noi deve seguire, sviluppare ed esperire in piena indipendenza e libertà.

Le tecniche meditative si dividono principalmente in due categorie:

meditazione visiva, basata su visualizzazioni: ad esempio mindfulness, vipassana, Silva mind control, ecc

meditazione mantrica, basata sulla ripetizione di frasi, canti, parole, invocazioni, preghiere, lodi: ad esempio meditazione trascendentale, TNAS, ma anche, in senso lato, i nostri canti gregoriani.

Ma quali sono le pratiche meditative che si sono maggiormente diffuse nella società occidentale? Una meditazione originaria dell’India e parecchio diffusa anche in Occidente è quella “trascendentale”. In India questo tipo di azione meditativa veniva praticata soprattutto dagli Illuminati: la meditazione trascendentale è infatti considerata una tecnica meditativa per lo sviluppo delle potenzialità umane; la sua origine è da ricondursi alla tradizione vedica ed è stata introdotta in occidente nel 1958 da Maharishi Mahesh Yogi. La MT si basa sulla ripetizione per alcuni minuti, due volte al giorno, di uno specifico suono (mantra), che permetterebbe alla mente di raggiungere uno stato naturale di "consapevolezza senza oggetto" o "senza pensieri" chiamato "trascendenza", il quale rilasserebbe profondamente il corpo e rinfrescherebbe la mente stessa, apportando vari benefici al praticante.

All’incirca dalla fine del secolo scorso si è poi particolarmente sviluppata e affermata, soprattutto associata ai percorsi psicoterapici classici, una disciplina meditativa chiamata mindfulness. Gran parte delle idee, delle pratiche e degli interventi che oggi vanno sotto il nome di mindfulness sono il frutto di un percorso iniziato con gli studi pionieristici di Jon Kabat-Zinn, un biologo e professore della School of Medicine dell’Università del Massachussets che, a partire dal 1979, ha sviluppato un protocollo per introdurre la meditazione di consapevolezza come intervento in contesti clinici. Era convinzione di Kabat-Zinn, infatti, che la pratica di meditazione avesse il potere di trasformare in modo duraturo l’esperienza individuale della sofferenza e dello stress, offrendo un’alternativa alle strategie orientate alla risoluzione dei problemi che sono profondamente radicate nella cultura occidentale. Nonostante Kabat-Zinn avesse grande esperienza personale di pratica meditativa, la volontà di introdurre la meditazione di consapevolezza in contesti come gli ospedali, le cliniche e i centri sanitari imponeva un’operazione di adattamento delle pratiche tradizionali. Innanzitutto occorreva che la pratica fosse accessibile alle possibilità psicologiche e fisiche dei pazienti, o comunque facilmente adattabile a condizioni mediche particolari. Questo significava, per esempio, proporre tempi, concentrazione e movimenti compatibili con condizioni di sofferenza di varia natura dei partecipanti. Si è inoltre ritenuto importante evitare pratiche dissonanti rispetto alla cultura e allo stile di vita occidentale, poiché questo avrebbe probabilmente ridotto la volontà di partecipare agli incontri e soprattutto di praticare individualmente tra un incontro e l’altro. Sulla base di queste esigenze, la mindfulness si spogliava delle sue connotazioni spirituali e morali, rinunciava ad essere parte di un cammino per l’illuminazione e si definiva come un’attenzione focalizzata, rivolta al momento presente e non giudicante (Kabat-Zinn, 1994). Così facendo, si apriva la possibilità di lavorare con i pazienti difficili attraverso pratiche di consapevolezza al tempo stesso antichissime e adatte al mondo occidentale. In altri termini, la pratica della mindfulness vede come suo obiettivo principale il raggiungimento di un grado di consapevolezza massimo attraverso il quale l'individuo dovrebbe raggiungere uno stato di benessere e questo tramite un processo che - attraverso la messa in pratica di particolari tecniche di meditazione - porta l'individuo ad essere consapevole di sé stesso, dei propri pensieri, delle proprie sensazioni e della realtà, intesa come qui e ora, che lo circonda. Difatti, divenendo consapevoli e non critici nei confronti di sé stessi e della realtà, gli individui dovrebbero riuscire a controllare e contenere emozioni, sensazioni e pensieri negativi che possono portare alla sofferenza.

Tenendo conto della premessa ed entrando più in dettaglio nella pratica meditativa possiamo dire che la meditazione consiste in varie tecniche attuate durante la seduta, tutte basate su tre componenti principali: rilassamento, osservazione, stato d’animo libero da giudizio.

Dove meditare

Basterà un angolino, ma tienilo solo per meditare…. Perché ogni azione crea una vibrazione sua propria. Se in quel luogo ti limiti a meditare diventerà meditativo.”(Osho)

Tra l’ambiente esterno ed interno vi è un imprescindibile collegamento e il meditatore deve tenere sempre conto di tale linea di congiunzione. Un ambiente troppo caldo rende fastidiosa la postura raccolta che rallenta la dispersione di calore, mentre il freddo rende difficile stare fermi. L’ambiente ideale per meditare è risaputamene quello di montagna e in generale il clima secco, per gli effetti che essi hanno sulla respirazione e sulla circolazione del sangue, con conseguenze positive sul cervello. In linea molto generale gli ambienti naturali sono i più adatti alla meditazione, ma in assenza di laghi, monti, boschi o mare occorre cercare un angolo della propria abitazione favorevole al raccoglimento interiore, dove non si venga possibilmente disturbati, ed occorre mantenerlo stabile nel tempo, in modo tale che si crei un’associazione tra lo stimolo rilassante della meditazione e il luogo.

La luce non deve essere né troppo forte né troppo fioca. I vestiti meglio siano comodi e in estate ridotti al minimo.

Un luogo isolato in cui meditare è un requisito importante della pratica meditativa ma man mano che si acquisisce la tecnica, si diventa meditatori ovunque, non necessariamente nel luogo prescelto. Scopo della meditazione infatti è quello di raggiungere un isolamento psicologico che si può ottenere dovunque e in ogni attimo di vita.

Quando e quanto meditare

La tradizione vuole che i momenti più adatti alla meditazione siano l’alba, quando la mente è più calma e riposata, il tramonto, quando il calar della luce ha un effetto meditativo, il mezzogiorno e la mezzanotte, quando si equilibrano i bioritmi corporei. Queste però non sono che indicazioni del tutto generiche, importante è invece trovare un proprio momento adatto alla meditazione, in base alle esigenze personali e ritmi di vita, e cercare di rispettare ogni giorno il momento prescelto.

Il bisogno di meditare può anche derivare da momenti particolari della vita, in cui lo stato emotivo è turbato o comunque attivato. La meditazione infatti non è detto debba essere associata ad precedente stato di quiete. Per quanto riguarda la durata della singola seduta di meditazione la regola è di meditare fino a che se ne sente la necessità e il piacere e di interrompere quando subentra la stanchezza o la distrazione. In linea generale inizialmente i tempi sono brevi, dai 10 ai venti minuti, successivamente con la pratica non si tiene più conto dello scorrere del tempo.

Meditare è un atto di consapevolezza, e se si è alle prime armi non è necessario seguire rituali o assumere posizioni specifiche. Piuttosto è importante ritirarsi in un luogo isolato e silenzioso per concentrarsi meglio su quello che si sta facendo. Tuttavia, La posizione del loto (padmasana), così chiamata perché richiama la forma del fiore di loto con radici –le gambe- a contatto con la terra e il fiore-il busto e il capo- tendente verso il cielo, è la postura che permette un grande raccoglimento, corpo e mente si chiudono su se stessi. Le gambe e le natiche formano una sorta di triangolo che diventa una buona base di appoggio per il tronco che occorre sia eretto. Il punto di incontro delle mani e dei piedi corrisponde al baricentro del corpo. Esiste anche la possibilità di far meditazione sdraiati per chi dovesse avere problemi alle articolazioni, o su un basso sgabello senza schienale. Volendo si può anche stare seduti ad un tavolo, incrociando le caviglie, raccogliendo le mani e tenendo il busto eretto. Altra qualità importante della posizione è l’immobilità. Non esiste ovviamente l’immobilità assoluta ma occorre cercare di restare più fermi e stabili possibile, perché il movimento devia la concentrazione e la disperde. Un piccolo cuscino rigido a alto circa 15cm da porre solo sotto le natiche può aiutare.

Una respirazione lenta e calma insieme ad una posizione corporea rilassata e comoda, acquieterà anche la mente. Se si vuole accelerare tale stato di acquietamento si può allungare qualche espirazione e alla fine di esse trattenere per qualche istante il respiro. Pian piano nell’immobilità del corpo l’attenzione passa alla mente. Se prima era il corpo che determinava la nostra condizione, ora è la mente con i suoi contenuti che prende il sopravvento. Tali contenuti in meditazione vengono distinti in: sensazioni (ad es la sensazione di freddo); pensieri (idee, immagini, ragionamenti, fantasia); stato d’animo (agitazione o calma); consapevolezza (attenzione posta su sensazioni, pensieri, stati d’animo).

In uno stato di tranquillità ed immobilità corporea i contenuti della mente diventano l’unica realtà ed iniziano ad affollarsi pensieri, immagini, ricordi, sensazioni estati d’animo, che si intrecciano e si sovrappongono tumultuosamente, passando dall’uno all’altro senza un vero e proprio filo conduttore. La meditazione ha lo scopo di interrompere questa attività della mente fino a renderla nulla o comunque un evento trascurabile. E’ esperienza comune quella in cui l’attenzione e la concentrazione su qualcosa interrompono per un tempo più o meno lungo l’attività di pensiero. Quando guardiamo un film che ci appassiona o leggiamo un libro interessante difficilmente riusciamo a pensare contemporaneamente a cosa faremo domani. L’unica possibilità per pensare a domani è interrompere la lettura o al visone del film e distrarci con il nostro pensiero. Sfruttando tale evidenza la meditazione utilizza la concentrazione come mezzo per sospendere e controllare l’attività di pensiero. Ci si può concentrare su un oggetto mentale, su un suono, un mantra, un immagine, il respiro o ci si può concentrare sulla mente stessa e sul suo funzionamento. Esistono musiche studiate appositamente per favorire la concentrazione e l’abbandono allo stato meditativo. Personalmente in studio utilizzo molto un cd di Sandelan, “Silence”, composto da due tracce di circa 30 minuti ciascuna. Altri autori specializzati in questo tipo di sonorità sono Deuter, Karunesh, Anugama. Esistono poi tappeti sonori della durata variabile tra 15 minuti e 2 ore, che riproducono suoni della natura come le onde del mare, l’acqua di un ruscello, la pioggia, il fuoco, il vento, ecc che possono essere un buon supporto soprattutto negli esercizi di visualizzazione.

Comprovati effetti della meditazione

Nei primi decenni del secolo scorso si manifesta un interesse sempre più crescente per le tecnche meditative orientali. A testimonianza di ciò basti ricordare che il training autogeno, uno dei più utilizzati metodi di rilassamento occidentali, elaborato dallo psichiatra tedesco J.H. Schultz, nasce dalla commistione fra l’ipnosi e lo Raya Yoga, una tecnica meditativa che si basa sul controllo del corpo e della mente.

Nella seconda metà del secolo scorso si utilizzano l’elettroencefalogramma e l’elettrocardiogramma per documentare le modificazioni fisiche che accompagnano lo stato meditativo. Da tali studi di evince che:

  • Diminuisce la frequenza respiratoria e cardiaca
  • Viene indotto a livello cerebrale uno stato di rilassamento diverso dal sonno (si rileva un aumento dell’ampiezza e frequenza delle onde alfa (onde che compaiono quando si chiudono gli occhi e che nei meditatori compaiono a livello delle cortecce frontali anche con gli occhi semiaperti).

Negli anni 80 e 90 vengono studiati meditatori con diversa preparazione e si studiano altri parametri, quali gli ormoni e i neurotrasmettitori. I risultati di tali studi sono:

  • Regolazione della produzione di cortisolo, ormone che gioca un ruolo fondamentale dello stress.
  • Aumento notturno della melatonina, ormone che regola i ritmi biologici dell’organismo
  • Riduzione della noradrenalina, ormone prodotto sotto stress, sia dal cervello che dalle surrenali
  • Aumento della serotonina, neurotrasmettitore importante per l’umore, per la regolazione della fame e della sazietà.
  • Aumento del deidroepiandrosterone (Dhea), ormone con vari ruoli sull’umore e sul sitema immunitario, prodotto dalle surrenali e dal cervello.
  • Aumento del testosterone.

Dal 1999 in poi gli studi sul cervello introducono anche la risonanza magnetica funzionale (fMRI), con cui possono essere visualizzate le aree cerebrali coinvolte durante la meditazione. I risulltati di tali studi sono:

  • Comparsa di onde teta soprattutto durante la fase profonda della meditazione (le onde teta sono onde a bassa frequenza, 4-8 Hz, che originano in un area dell’ippocampo. Le onde teta sono il ritmo di fondo che sincronizza altri ritmi, le onde gamma, e ciò consente di svolgere compiti legati alla formazione di nuovi ricordi e al richiamo di quelli già codificati. Ciò è particolarmente utile nella terapia di disturbi post traumatici o legati a traumi rimossi.
  • All’incremento delle onde teta e alfa, corrisponde una riduzione dell’attività cerebrale delle aree frontomediali e centrale: in pratica, durante gli esercizi di meditazione vengono spenti i circuiti nervosi irrilevanti per il controllo dell’interno e inibite le formazioni non pertinenti.
  • Studiando il cervello di un meditatore esperto durante l’esecuzione di esercizi si è visto come si attivino l’area pre-frontale destra e il giro frontale superiore, attivate anche durante le esperienze extrasensoriali o durante l’ effetto di droghe o particolari tipi di farmaci.

Effetti su: aterosclerosi, malattie cardiovascolari e ipertensione

Dean Ornish, istituto di medicina preventiva di Sausalito in Clifornia, ha pubblicato nel 1990 su The Lancet i risultati di uno studio su cardiopatici. Un gruppo di essi è stato sottoposto ad un programma di cambiamento di stile di vita, comprendente anche esercizi yoga di rilassamento. Un altro gruppo invece è stato sottoposto a cure farmacologiche standard per il controllo del colesterolo e dieta. Dopo un anno il primo gruppo ha registrato una riduzione degli episodi di angina e una riduzione del restringimento delle coronarie. Nel secondo gruppo sono invece aumentati gli episodi di angina ed è aumentato il restringimento delle coronarie. Dopo cinque anni inoltre il primo gruppo ha registrato metà degli attacchi cardiaci rispetto al secondo gruppo. Tale studio è stato poi replicato nei decenni successivi su campioni sempre più ampi di pazienti, portando sempre a risultati in linea con quelli ottenuti da Ornish.

In una riserca realizzata presso i Dipartimenti di medicina interna di Pavia e di Firenze (2001, British Medical Journal), sono stati studiati da un punto di vista cardiovascolare e respiratorio alcuni soggetti mentre recitavano un mantra o l’avemaria. Ne è risultato che durante la recitazione il ritmo respiratorio va a sincronizzarsi con il ritmo endogeno cardiovascolare, intorno a 6 respiri al minuto. Questo ha effetti benefici sull’ attività del cuore, migliorando l’ossigenazione del sangue ed è dovuto al fatto che la recitazione del mantra e dell’avemaria impongono una frequenza respiratoria fissa ed hanno un ritmo molto simile.

Ansia e depressione

Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia della meditazione nel ridurre l’ansia dovuta al vivere una situazione stressane ed ansiogena quale l’essere malati di cancro. I soggetti studiati hanno dimostrato una netta riduzione di ansia, depressione, rabbia e confusione mentale tramite l’utilizzo della meditazione.

Gli stessi risultati positivi si sono registrati in centinaia di studi su soggetti affetti da tutte le tipologie di disturbi d’ansia, che sono stati sottoposti ad una tecnica meditativa e che hanno ottenuto significativi miglioramenti sia nella frequenza che nell’intensità dei sintomi esperiti, nonché nella capacità di fronteggiarli efficacemente, rispetto ad altri che sono stati sottoposti a psicoterapia.

Stress e meditazione

La meditazione è accompagnata, come abbiamo visto, da specifiche modificazioni fisiche, che riguardano il funzionamento cerebrale, il sistema endocrino e l’apparato cardiocircolatorio. Tali modificazioni contrastano gli effetti fisici dello stress sull’organismo. Considerando tali mutamenti fisiologici tipicamente presenti durante lo stato meditativo, la ricerca si è concentrata sulle proprietà terapeutiche della meditazione. Effetti positivi della pratica della meditazione si sono infatti riscontrate sulla sintomatologia del colon irritabile, con una notevole riduzione dei sintomi , e sull’asma. Il respiro, la cui regolazione è uno dei punti di partenza delle discipline meditative, tra l’altro riveste un ruolo importante nello stress. La respirazione infatti aumenta in un individuo stressato. In uno stato di stress cronico, tale aumento causa una perdita eccessiva di biossido di carbonio, a cui consegue una eccessiva perdita di acidi. L’organismo compensa tale perdita con l’eliminazione delle sostanze alcaline tramite le urine, eliminazione questa che riduce la possibilità di bilanciare l’acido lattico generato dall’esercizio fisico, causando una facile affaticabilità e dolori muscolari. Una persona stressata dunque respira con una frequenza elevata, riduce le sue riserve alcaline e si sente sempre più stanco. Viene compromessa la memoria, la capacità di concentrazione e si riduce notevolmente l’energia di cui può disporre.   Appare quindi evidente come la concentrazione sul respiro possa essere di aiuto in quei casi in cui lo stress induce un’alterazione della frequenza respiratoria, con gli effetti che ne conseguono.

La meditazione, oltre a provocare le suddette positive modificazioni fisiche che contrastano le alterazioni negative prodotte dallo stress, è caratterizzata anche da un aumento dell’efficacia delle strategie cognitive sulla risoluzione di momenti di vita stressanti e sulle modalità con cui l’individuo interpreta e vive lo stress. Molti infatti sono gli stressors ma gli individui non rispondono ad essi nel medesimo modo. Ci ò che ha valenza di stress per un soggetto non è detto che induca stress in un altro. Molto dipende dall’interpretazione che noi diamo agli eventi. Riguardo alle risorse interne e alle strategie atte a migliorare la reazione allo stress, si può inoltre sottolineare che l’osservazione del pensiero e l’attenzione sui contenuti della coscienza, che possono anche essere suoni, rumori, prurito, fastidio, dolore, odori o emozioni, in assenza di giudizio alcuno e quindi con distacco interiore, hanno lo scopo di insegnare al soggetto il carattere transitorio di tutti i fenomeni mentali. Insegna pertanto a non identificarsi con essi ma a ritenerli una manifestazione estemporanea che ha breve durata se la si lascia passare. Ne deriva un maggiore senso di padronanza sulla propria mente, di controllo sui suoi contenuti anziché esserne in balia passiva e non ultimo la non identificazione con il proprio mondo interno, quale ad esempio quello della sofferenza psicologica. Localizzare le situazioni stressanti nel presente e pensare che non necessariamente devono riguardare il futuro, dà libertà e potere all’individuo di gestire lo stato d’animo come attuale e non come una condanna senza possibilità di appello.

Un interessante studio sulla tecnica della consapevolezza associata alla riduzione dello stress è riportato nellla ricerca di Jon Kabat-Zinn allo Stress Reduction Clinic presso l’University of Massachussets Medical Center di Worcester (1985) su pazienti con patologia cronica sottoposti ad alti livelli di stress psicofisico dovuto alle cure invasive, al timore della morte e al dolore fisico. Sono stati studiati 1200 pazienti su un periodo di 2 anni. Ne è risultata una riduzione della sintomatologia fisica del 25 per cento, e una riduzione del 32 per cento di sintomi psicologici quali rabbia, ansia, depressione, somatizzazione e percezione negativa del proprio corpo.

Gli effetti positivi della meditazione si esplicano dunque sia a livello fisico sia a livello più prettamente cognitivo attraverso il potenziamento della capacità di superare lo stress e della capacità di prevenirlo. Da ciò risulta evidente la potenzialità della meditazione nel cambiare lo stile di vita dell’individuo e di apportare modificazioni durature sia nella personalità che a livello corporeo. Queste caratteristiche la rendono uno strumento efficace sia nella patologia fisica, sia nel disturbi psicologici, sia in tutte quelle condizioni non patologiche ma estremamente comuni caratterizzate dallo stress insito nella conduzione contingente della vita.  

Letteratura consigliata:

Paul Green, Meditazione Trascendentale in pratica, Hoepli

Thich Naht Hanh, Pratiche di consapevolezza, Ed. Terra Nuova

Jon Kabat Zinn, Vivere momento per momento, Il punto d’Incontro

Jon Kabat Zinn, Mindfulness per principianti, Il punto d’Incontro

Osho, Liberi di essere, Hoepli