“Persistenti disturbi del comportamento alimentare e/o di comportamenti finalizzati al controllo del peso corporeo, non secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta, che danneggiano la salute fisica e il funzionamento psicologico” (C.Fairburn).

Questa definizione, completa e largamente approvata, riesce a comprendere l’ampio spettro dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) che anche se si presentano in modo molto vario hanno tutti in comune il fatto che chi ne è colpito lega la propria autostima al peso e all’aspetto fisico e ha una relazione con il proprio corpo, o con la percezione della propria immagine corporea, disturbata e profondamente insoddisfacente. Avendo quindi una percezione della propria immagine profondamente negativa la conseguenza è una bassa o nulla autostima di chi è affetto da questi disturbi. La compresenza di aspetti biologici e psicologici causa di un ampio spettro di complicanze rende queste patologie molto complesse e difficile e delicato l’approccio terapeutico. L’età di massima insorgenza è tra i 12 e i 17 anni, con un rapporto femmine-maschi fortemente sbilanciato verso il sesso femminile. Tale età correla con le naturali problematiche di sviluppo adolescenziale, che possono trovare nel cambiamento dell’immagina corporea un’area di criticità in relazione a particolari fattori di vulnerabilità psicologica.

CLASSIFICAZIONE

La classificazione dei DCA viene effettuata tramite il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V). Accanto ai due disturbi dell’alimentazione principali (anoressia nervosa e bulimia nervosa) è presente un’ampia ed eterogenea categoria di disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (NAS), cioè disturbi dell’alimentazione di severità clinica che non soddisfano tutti i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa.

Anoressia nervosa (AN): Il significato letterario di Anoressia Nervosa è “mancanza nervosa di appetito”. Definizione errata in quanto le persone affette da questo disturbo si rifiutano di mangiare, nonostante abbiano sempre un’intensa fame e appetito. Il rifiuto del cibo dipende, infatti, dalla loro ricerca della magrezza e dalla necessità estrema di controllare l’alimentazione. I comportamenti delle persone affette da anoressia nervosa per mantenere un peso al di sotto di quello naturale includono il seguire una dieta ferrea, il fare esercizio fisico in modo eccessivo e, in alcuni casi, l’indursi il vomito ogni volta che ritengono di aver mangiato in eccesso.

Le manifestazioni essenziali dell’anoressia nervosa sono:

a. rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al minimo considerato normale per età e statura.

b. paura di ingrassare anche quando si è sottopeso.

c. alterazione del modo di vivere il proprio corpo, con eccessiva influenza del peso corporeo rispetto alla percezione di se, oppure rifiuto di ammettere la gravità della condizione di sottopeso.

d. amenorrea per almeno tre mesi consecutivi.

e. basso peso corporeo , ovvero BMI<17,5 (il BMI, Body Mass Index, è il criterio utilizzato per valutare il corretto rapporto tra peso e altezza di un individuo).

Le persone affette da anoressia nervosa sono insoddisfatte del proprio peso e aspetto fisico, in particolare considerano troppo grosse alcune parti del proprio corpo (mammelle, pancia, sedere, gambe) anche quando questo non è vero. Basano la propria autostima principalmente su quello che dice la bilancia; un aumento ponderale determina sensazioni di frustrazione e auto-svalutazione; un calo di peso, al contrario, aumenta il senso di autocontrollo, di fiducia personale e di senso di autoefficacia.

Si possono distinguere due forme di Anoressia: nell’anoressia nervosa con restrizioni la perdita di peso è dovuta al digiuno ed al rifiuto del cibo, accompagnato alcune volte da esercizio fisico esagerato; nell’anoressia nervosa con abbuffate e condotte di eliminazione sono presenti anche abbuffate soggettive seguite da vomito auto-indotto oppure dall’utilizzo improprio di lassativi e diuretici. Le anoressiche con abbuffate e condotte di eliminazione spesso sono malate da molto tempo, pesano di più all’inizio della malattia, hanno frequenti storie personali e familiari di obesità e sono più impulsive, non soltanto nell’ alimentazione, ma anche in altri ambiti: abuso di alcol o di sostanze stupefacenti, cleptomania, comportamenti autolesionisti e tentativi di suicidio. Le anoressiche con restrizioni hanno invece una personalità ossessiva e sono più isolate socialmente.

Bulimia nervosa (BN): Il significato letterario di bulimia nervosa è "fame da bue", essa è caratterizzata da un ciclo auto-perpetuante che partendo dalla preoccupazione per il peso e le forme del corpo, passa attraverso l’adozione di una dieta ferrea, e arriva fino ad abbuffate e vomito auto-indotto quando il terrore di ingrassare e vedere che l’ago della bilancia sale un po’ di più fa aumentare i sentimenti di fallimento e svalutazione in chi ne è affetto, spingendo all’utilizzo di qualsiasi pratica che dia la speranza di dimagrire.

Sembra che siano più predisposte alla bulimia nervosa certe persone con peculiari caratteristiche di personalità: scarso concetto di sé, elevati livelli di perfezionismo, pensiero tutto o nulla e difficoltà a controllare g li impulsi. Come le persone affette da anoressia nervosa, le persone bulimiche si preoccupano molto del proprio peso e delle forme corporee e la loro autostima varia soprattutto in base a questi due fattori. La diretta conseguenza di ciò è la ricerca della perdita di peso principalmente seguendo una dieta e sentendosi sempre in dovere di seguirla. Le persone che soffrono di bulimia nervosa però, non adottano regimi, ma diete "ferree" spesso “fai da te”, perché queste , oltre a essere fortemente ipocaloriche, sono particolarmente rigide. Il fare la dieta in modo ferreo è probabilmente legato al perfezionismo ed al il pensiero "tutto o nulla". La dieta ferrea è la principale responsabile della comparsa di abbuffate attraverso tre meccanismi:

1.Pensiero "tutto o nulla" e perfezionismo: Seguire diete ferree in modo perfezionistico porta prima o poi inevitabilmente a compiere piccole trasgressioni; quando queste si verificano il soggetto pensa subito di aver perso il controllo, di aver fallito e si abbuffa. Il comportamento bulimico è innescato da modalità di pensiero "tutto o nulla" del tipo: "Ormai ho trasgredito alla mia dieta, tanto vale che mi abbuffi fino a scoppiare, così poi potrò liberarmi di tutto il cibo con il vomito".

2. Alterazione della fame e della sazietà: Numerosi studi hanno evidenziato che la dieta ferrea porta a un aumento della fame e dell'appetito nei confronti dei carboidrati in particolare, probabilmente a causa della modificazione di alcuni neurotrasmettitori cerebrali, tra cui la serotonina, e questo effetto è più pronunciato nelle donne che negli uomini.

3. Emozioni negative: Le abbuffate, soprattutto nei primi momenti, possono determinare del piacere, perché allentano la tensione del dover seguire in modo ferreo la dieta. Questa sensazione piacevole iniziale può ess ere utilizzata da chi soffre di bulimia nervosa per "bloccare" altre emozioni negative. Tale comportamento da però origine a un circolo vizioso per due motivi: primo, se uno continua a bloccare le emozioni con il cibo non risolve mai i problemi di fondo e così le emozioni negative tendono a ripresentarsi e a favorire nuove abbuffate. Secondo, le abbuffate, passati i primi momenti piacevoli, determinano la comparsa di emozioni negative (senso di colpa, disgusto, paura d'ingrassare), che a loro volta possono innescare nuove abbuffate.

Le caratteristiche principali per la diagnosi sono:

a. Abbuffate compulsive ricorrenti con l’ingestione in un periodo di tempo definito, di una quantità di cibo significativamente superiore a quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili, con sensazione di perdita di controllo sull’alimentazione durante l’episodio.

b. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come: vomito auto-indotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi, farmaci tiroidei, digiuno, intensa attività fisica.

c. Sia le abbuffate che i comportamenti per ristabilire il controllo del peso avvengono, in media, almeno due volte alla settimana per tre mesi.

d. Livelli di autostima indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporeo.

Nella pratica clinica vengono distinte due forme di Bulimia: una forma con condotte di eliminazione è caratterizzata da vomito e utilizzo di lassativi, l’altra senza condotte di eliminazione invece, da digiuni e periodi di intenso esercizio fisico che si alternano alle abbuffate. Le persone che adoperano condotte di eliminazione hanno, rispetto a quelle che non lo fanno:

- un peso corporeo più basso;

- un'alterazione più marcata dell'immagine corporea;

- una maggior ansia nei confronti dell'alimentazione;

- una più elevata frequenza di comportamenti autolesionisti e progetti di suicidio;

- un'età più precoce d'insorgenza del disturbo;

- un elevato tasso di comorbidità per depressione, disturbi d'ansia e di abuso d'alcol;

- un'elevata incidenza di abusi fisici e sessuali subiti;

- maggiori problemi di disidratazione e di squilibrio elettrolitico (in particolare l'ipopotassiemia).

Disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati: In questa categoria vengono raggruppati tutti quei disturbi dell’alimentazione caratterizzati da comportamenti disfunzionali sia sulle condotte alimentari che sulle condotte compensatorie ma che non soddisfano pienamente i criteri di diagnosi per l’anoressia o per la bulimia, e che comunque presentano un quadro clinico significativo. Tra questi una forma molto frequente è il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI o BED-binge eating disorder), caratterizzato da abbuffate senza condotte compensatorie

Gran parte degli studi sperimentali riguardanti l’evoluzione nel tempo di anoressia e bulimia mostrano che un numero di pazienti superiore al 50% guarisce dal disturbo, in alcuni casi il disturbo si auto-limitata e richiede un breve intervento (soprattutto nei più giovani con una malattia di breve durata, il 20% non presenta remissione dei sintomi, il disturbo diventa cronico e richiede un trattamento intensivo ed il 30% ha qualche miglioramento ma non la completa guarigione. Cinque e dieci anni più tardi il 30-50% dei pazienti ha ancora un disturbo dell’alimentazione (a volte nella forma atipica). Anche per le pazienti che guariscono di solito si riscontra un percorso caratterizzato da miglioramenti e ricadute.

L’anoressia può essere talvolta può essere anche mortale, a causa del suicidio o delle complicanze della malnutrizione, fenomeno questo gravissimo sulla cui frequenza gli studi presenti in letteratura sono in disaccordo. La bulimia nervosa ha un esordio un po’ più tardivo rispetto all’anoressia nervosa. Il disturbo è auto-perpetuante e, mediamente, i pazienti ricevono la prima cura cinque anni dopo l’esordio.

FATTORI DI RISCHIO

Le disfunzionalità dietetiche e biologiche sono solo la punta dell’iceberg, la parte più evidente di queste patologie. Guardando più in profondità medici e studiosi hanno capito che un nucleo fondamentale del problema risiede nell’autostima. La bassa autostima di cui soffrono le persone con DCA, rimane tale dal momento che esse la collegano indebitamente al proprio peso e alle forme corporee. Data l’attuale importanza attribuita all’aspetto fisico e all’apparenza, non è difficile capire come in persone più fragili e predisposte una disturbata immagine corporea possa causare sentimenti di fallimento personale, fino al punto di affidare la risoluzione di tutti i problemi non a capacità e competenze, bensì all’ago della bilancia, al peso e al cibo, apparentemente più semplici da controllare, rispetto a problemi come quelli legati alle emozioni e alle relazioni interpersonali, perché concreti e misurabili. La dieta sembra essere così la soluzione ad ogni problema, promessa di felicità e successo che si rivela presto poco efficace principalmente per due motivi: perché i livelli di peso desiderati sono irrealistici; e i veri problemi sono altri dal peso.

Diversi sono i fattori predisponenti: esistono infatti fattori di rischio individuali, familiari e socioculturali.

Il primo di questi è il genere: i disturbi del comportamento alimentare sono più comuni tra le donne che tra gli uomini ad eccezione del BED per il quale non c’è grande differenza. Le donne si mettono a dieta più frequentemente degli uomini, la pressione sociale verso la magrezza è rivolta soprattutto a loro che sono più portate a basare il proprio valore sulle forme corporee. Le relazioni interpersonali importanti per la donna, per la definizione di se e della propria identità, nella nostra società sono fortemente influenzate dalle forme corporee e della magrezza. Un altro fattore è l’etnia: anoressia nervosa e bulimia nervosa sono presenti soprattutto tra le donne bianche.

I fattori individuali psichici e psicologici che accomunano le persone che hanno un DCA sono: scarsa autostima; insicurezza; problemi di identità e di autonomia; depressione (tuttavia nella maggior parte dei casi la depressione sembra essere una conseguenza della perdita di peso corporeo, della dieta, delle abbuffate e del vomito); elevata frequenza di “sintomi d’ansia” e di “disturbo ossessivo compulsivo” sia nell’anoressia nervosa che nella bulimia nervosa, ma non esiste nessuna prova che essi precedano l’insorgenza dei problemi alimentari; rabbia; vergogna; sensi di colpa; pensiero tutto o nulla; perfezionismo; impulsività; disturbo dell’immagine corporea e preoccupazione riguardo al peso e alle forme corporee; esperienze traumatiche; difficoltà interpersonali; bisogno di approvazione; anassertività; paura e sfiducia nell’autenticità delle proprie emozioni. Gran parte delle ragazze che sviluppano anoressia nervosa sono state bambine coscienziose e condiscendenti, timide e solitarie con notevoli difficoltà a sviluppare relazioni con coetanei. Un tratto comune è il loro forte senso di competitività e il loro continuo perseguire mete difficili da raggiungere.

Una storia familiare psichiatrica è sicuramente un fattore importante. I DCA sono tre volte più frequenti nei familiari di primo grado di soggetti affetti da anoressia nervosa e bulimia nervosa. I familiari di primo e secondo grado dei soggetti affetti da queste patologie hanno una frequenza tre volte superiore di “disturbi affettivi” rispetto alla popolazione di controllo normale. Nonostante tutto numerosi studi hanno dimostrato che le famiglie di soggetti che sviluppano un DCA sono perlopiù famiglie come le altre e che i nuclei centrali per lo sviluppo possono essere: una modalità di comunicazione e di rapporto poco funzionale e quindi a rischio (in particolare la relazione tra madre e figlia); conflittualità tra i genitori; legami troppo stretti e controllanti che non permettono il processo di separazione e individuazione (distinzione della figlia dalle figure genitoriali e assunzione di un’identità distinta e autonoma) e autonomia; atteggiamenti rigidi e conformisti; iperprotettività; confusione di ruoli ed altro ancora.

La famiglia può avere un ruolo importante nel rinforzare gli ideali di magrezza culturali e nel favorire lo sviluppo di un disturbo dell’alimentazione. Il rinforzo dei familiari può essere diretto, ad esempio attraverso espliciti incoraggiamenti alla dieta o alla perdita di peso, o indiretto, ad esempio attraverso comportamenti e attitudini modellanti come il seguire delle diete per perdere peso. Inoltre, il modellamento genitoriale tramite comportamenti disfunzionali tipici del disturbo dell’alimentazione (es. seguire una dieta in modo ferreo) si associa a un incremento dell’insoddisfazione corporea. Le adolescenti prese in giro per il peso corporeo da parte dei pari e dei membri della famiglia riportano maggiore insoddisfazione corporea, spinta alla magrezza e restrizione alimentare e una più bassa autostima. In più, l’impatto delle derisioni sull’autostima e la soddisfazione corporea sembrano essere indipendenti dal peso attuale degli adolescenti. Derisioni e discriminazioni legate alla razza sembrano pure giocare un ruolo nello sviluppo dei disturbi dell’alimentazione. Sono quelli che permettono il perpetuarsi del disturbo. Con l’aumentare del periodo di malattia diventa sempre più difficile la guarigione completa, e ciò a causa dei fattori di mantenimento. Il disturbo può così mantenersi per vari anni e a volte per tutta la vita. Tra questi fattori ci sono :

· rinforzi personali e socio-ambientali: adesione ad un modello estetico, commenti positivi da parte di conoscenti e amici in merito al peso e alle forme corporee, sensazione di forza nel riuscire a controllare la fame.

· “guadagni” secondari alla malattia: cose che la mal attia permette di acquisire o di evitare, ad esempio l’attenzione degli altri, l’evi tamento delle responsabilità, ecc.

· fattori predisponenti e precipitanti non risolti: preoccupazione per il peso e per la forma fisica che non diminuisce con l’effettivo calo ponderale, ecc.

· riuscire a calare di peso e sentirsi meglio.

· sintomi da digiuno: la malnutrizione porta a tutta una serie di modificazioni fisiche, cognitive, emotive e sociali e di atteggiamento nei confronti del cibo, che alimentano la paura dell’aumento di peso e del non riuscire a controllare l’alimentazione, con il mantenimento così dei pensi eri e dei comportamenti disfunzionali verso il cibo e il corpo.

L’ESPOSIZIONE AI MEDIA COME FATTORE DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DEI DCA

Un primo aspetto importante da considerare è l’impatto che i modelli di genere veicolati dai media esercitano sull’immaginario giovanile e sul processo di costruzione dell’identità soggettiva. Essi dal momento in cui danno valore positivo o negativo a determinati modelli femminili e maschili (ruoli, comportamenti, azioni, aspetto fisico, e abbigliamento), influenzano i processi di socializzazione al genere e orientano i giovani nella formulazione dei propri progetti identitari, avendo anche posizione privilegiata rispetto alle agenzie di socializzazione tradizionali, grazie alla loro facile accessibilità, e alla varietà e appetibilità dei contenuti. La maggior parte delle persone limitano l’idea di immagine corporea all’apparenza fisica, alla bellezza e all’essere attraenti. Ma ovviamente non è solo questo. È la rappresentazione mentale di noi stessi. Uomini e donne hanno un’immagine interiore ideale del proprio corpo attuale o percepito come tale. Questa è differente nelle diverse situazioni (come per esempio essere vestiti oppure essere sulla spiaggia in costume da bagno). Non è influenzata solamente dai nostri sentimenti, ed influenza gran parte del nostro comportamento, emozioni, pensieri ed autostima operando sia a livello della coscienza sia al di fuori della nostra consapevolezza, nel privato e nello spazio sociale. La percezione del corpo, le emozioni e le nostre convinzioni orientano i nostri progetti di vita, ma anche le nostre azioni quotidiane, chi incontriamo, chi sposiamo, la natura delle nostre interazioni, il nostro benessere quotidiano e la tendenza ad avere disturbi di natura psicologica. Esempi di messaggi trasmessi dai media possono essere i seguenti:

1. La bellezza è il principale obbiettivo nella vita di una donna.

2. La magrezza è cruciale per raggiungere il successo e il benessere.

3. L’immagine è sostanziale.

4. Il “grasso” dimostra la loro personale responsabi lità per essere deboli, delle fallite ed impotenti.

5. Una donna volitiva e vincente può rinnovarsi e trasformarsi attraverso la moda, la dieta e l’esercizio fisico rigoroso.

Uno studio fondamentale per dimostrare l’influenza dei Media sull’immagine corporea e i disturbi alimentari, è quello condotto da Anne Becker su due campioni di studentesse nella provincia di Nandroga delle isole Fiji nel 1995 (qualche settimana prima dell’introduzione della televisione satellitare) e nel 1998 (dopo tre anni di esposizione alla televisione satellitare). Le ragazze delle Fiji che erano tradizionalmente incoraggiate ad un sano appetito avevano come ideale un tipo di corpo rotondo a significare salute e fertilità. La forte identità culturale era protettiva nei confronti dei disordini alimentari; c’era stato un solo caso di anoressia nervosa nell’isola prima del 1995 . A seguito di esposizione prolungata alla televisione, la percentuale di persone che facevano diete è aumentata dallo 0% al 69%, quella di studentesse che hanno riferito l’uso del vomito auto-indotto dallo 0% all’11%, ed è aumentata significativamente la prevalenza degli indicatori chiave dei disturbi alimentari.(Becker e coll. 2002, Becker 2004).

Diversi studi trasversali hanno riportato un’associazione positiva tra l’esposizione a riviste di bellezza e di moda e aumentati livelli di preoccupazione per il peso e sintomi di disturbi alimentari nelle ragazze. Field e colleghi trovarono che l’importanza della magrezza e il provare ad assomigliare alle donne della televisione, dei film o delle riviste era predittivo per le giovani ragazze (dai 9 ai 14 anni) dell’inizio dell’uso di vomito autoindotto almeno mensilmente (Field e coll. 1999).

Questi studi metodologicamente diversi illustrano come l’esposizione ad irrealistiche e spesso malsane immagini corporee possa influenzare le percezioni dei giovani delle loro forme e taglie corporee così come il loro senso di soddisfazione corporea. L’effetto dei media può anche essere esteso allo sviluppo di specifici, e possibilmente nocivi, comportamenti per perdere peso. Non solo i media glorificano l’ideale snello, essi enfatizzano anche la sua importanza come via per ottenere amore, accettazione e rispetto, e l’importanza dell’apparenza in generale, allo stesso tempo demonizzano il grasso. Le pressioni verso un corpo snello e scolpito e quelle contemporanee verso il consumo di una serie crescente di alimenti ricchi di grassi e calorie che hanno fatto aumentare il peso medio della popolazione, hanno come risultato il crescente divario tra il peso e la figura corporea ideale e quello normale. In altre parole, i media non fanno sentire alla donna un bisogno di essere più sottili per sé, ma possono far si che si sentano più grasse di quanto non siano. Così le donne tendono a sopravvalutare le loro dimensioni corporee. L’enfasi sulla magrezza porta quindi inevitabilmente ad insoddisfazione corporea e ad eccessiva preoccupazione per il peso, e di conseguenza un abbassamento dell’autostima, e alla spinta alla magrezza. Il risultato di tutto questo è il desiderio sempre più diffuso di perdere peso ed il metodo scelto maggiormente per raggiungere tale obiettivo è la dieta.

Negli ultimi vent’anni c’è stata così un’enorme diffusione delle diete che inizialmente vennero prescritte con estrema facilità dai medici con l’assunto di base che tutti potevano modificare il loro peso con u n po’ di forza di volontà, e che ne avrebbero tratto sempre e comunque un vantaggio per la propria salute. Le diete divennero così una nuova religione, e il “fare una dieta” divenne un rituale sociale considerato positivo, segno di distinzione, autocontrollo, e forza di carattere. I media hanno contribuito alla diffusione delle diete non solo pubblicizzando determinati modelli di bellezza ma anche con un bombardamento continuo di consigli dietetici e di prodotti di ogni tipo. Chi intraprende una dieta la maggior parte delle volte tende a riacquistare il peso perso e quindi a riprovare un’altra dieta. Infatti le restrizioni alimentari (eccessive e malsane) sono modelli di auto-privazione, e il mangiare compulsivo è il risultato diretto di ribellione contro questa privazione alimentare. Il successivo aumento di peso porta ad un ulteriore peggioramento della propria immagine. Non è chiaro ancora quali fattori facciano evolvere una dieta in un disturbo alimentare; esistono tuttavia molti aspetti in comune tra persone a dieta e persone con disturbi alimentari. Entrambe tendono ad abbuffarsi dopo un periodo di restrizione, mangiano in risposta alle emozioni o in seguito all’idea di aver trasgredito le loro regole dietetiche. Hanno anche stessi tratti di personalità: bassa autostima, insoddisfazione per il proprio corpo, mancanza di riconoscimento dei segnali interni ed elevata emotività. Ovviamente non tutte le persone che si sottopongono ad una dieta sviluppano un disturbo dell’alimentazione: chi passa da una dieta ad un disturbo alimentare è affetto da una maggior sintomatologia psichiatrica e, nei casi di anoressia nervosa, ha sperimentato come antecedenti la depressione e /o situazioni di vita particolarmente stressanti.

IL TRATTAMENTO

Molte persone affette da disturbi dell’alimentazione (soprattutto nelle fasi iniziali della malattia) non chiedono aiuto o rifiutano addirittura un approccio terapeutico. Molti studi epidemiologici hanno riscontrato che solo una minoranza di soggetti affetti da questi disturbi presenti nella popolazione generale chiede un aiuto terapeutico. Non sempre le persone che giungono ai professionisti o nei centri specialistici hanno già maturato una vera e propria decisione di voler intraprendere una terapia per cercare la guarigione dal disturbo. In ogni caso, il contatto terapeutico permette in questi casi perlomeno di aprire un dialogo e di poter monitorare le eventuali complicanze sia mediche che psicologiche. Se una persona con disturbo dell’alimentazione non è ancora in grado di intraprendere un vero e proprio trattamento, viene di solito iniziato quello che viene definito da molti centri un percorso motivazionale, ossia un percorso psicologico che ha lo scopo di portare la persona a desiderare il cambiamento e la guarigione.

L’approccio più efficace per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione è quello multidisciplinare e integrato. I disturbi dell’alimentazione sono infatti disturbi psichiatrici con importanti manifestazioni psicopatologiche ed una alta frequenza di complicanze mediche: è quindi necessaria una collaborazione tra diverse figure professionali (psichiatra, psicoterapeuta, dietologo/nutrizionista, gastroenterologo, cardiologo, medico di medicina generale, ecc), che si occupino in modo integrato di questi diversi aspetti.

Le tappe fondamentali del trattamento nei disturbi dell’alimentazione sono ben riassunte dalle linee guida dell’American Psychiatric Association:

  • diagnosticare e trattare le complicanze mediche
  • aumentare la motivazione e la collaborazione al trattamento
  • aumentare il peso corporeo (nell’anoressia)
  • ristabilire un’alimentazione adeguata
  • affrontare gli aspetti sintomatologici (dieta, digiuno, vomito, abuso di lassativi, diuretici, iperattività)
  • correggere i pensieri e gli atteggiamenti patologici riguardo al cibo e al peso
  • curare i disturbi psichiatrici associati al disturbo dell’alimentazione
  • cercare la collaborazione e fornire sostegno ed informazioni ai familiari
  • aumentare il livello di autostima
  • prevenire le ricadute

L’uso dei farmaci nei disturbi dell’alimentazione è legata all’osservazione che spesso a questi disturbi sono associate altre psicopatologie, come disturbi depressivi e ossessivo-compulsivi. Per questo motivo i farmaci più frequentemente utilizzati sono i farmaci antidepressivi ad azione prevalentemente serotoninergica (per esempio la fluoxetina, la fluvoxamina o la sertralina). Talvolta anche l’utilizzo di alcuni tipi di neurolettici a basso dosaggio può essere indicato. Tuttavia, il trattamento farmacologico dei disturbi dell’alimentazione non deve mai essere considerato come trattamento di elezione, ma sempre come trattamento di supporto al lavoro psicoterapico o psicoeducativo.

La terapia cognitivo-comportamentale è il trattamento d’elezione per la bulimia nervosa, ma viene adottata con successo anche nell’anoressia nervosa e nel disturbo da alimentazione incontrollata. Il modello cognitivo-comportamentale proposto per i disturbi dell’alimentazione considera come principale responsabile degli atteggiamenti e dei comportamenti alimentari patologici la presenza di cognizioni (o pensieri disfunzionali) errate o distorte sul cibo e sul proprio corpo; i comportamenti come la restrizione alimentare, l’evitamento e i comportamenti di controllo del peso e del corpo, sono a loro volta dei fattori di mantenimento delle cognizioni distorte. Nella terapia cognitivo-comportamentale vengono pertanto affrontati sia i comportamenti alimentari scorretti che lo stile cognitivo correlato. Una delle “accuse” mosse alla TCC è quella di non affrontare i problemi globali della persona, ma di limitarsi agli aspetti sintomatologici del disturbo. In realtà anche se è vero che la TCC in una prima fase del trattamento si focalizza su una gestione della fase “acuta” del disturbo dell’alimentazione (come ad es. lavorare sulla diminuzione degli episodi di digiuno, di vomito e/o di abuso lassativi e della frequenza delle crisi bulimiche), in una fase successiva la terapia prevede di affrontare tutte le problematiche che presentano una connessione con il disturbo dell’alimentazione e soprattutto le difficoltà familiari e relazionali

Per quanto riguarda i disturbi dell’alimentazione, nonostante il fatto che molto spesso i pazienti hanno già appreso molte informazioni dai mass-media o attraverso il passa-parola, molto spesso sono presenti informazioni e convinzioni sbagliate e distorte che riguardano il contenuto calorico del cibo, il funzionamento del metabolismo corporeo, e la patogenesi (cioé i meccanismi attraverso cui si sviluppa una malattia) del disturbo. Le tecniche psicoeducazionali consistono quindi, in questi casi, nel fornire informazioni corrette sulle proprietà dei nutrienti, sul funzionamento metabolico e consumo calorico, sugli effetti biologici delle diete restrittive e del dimagrimento, i motivi dell’amenorrea, la relazione tra dimagrimento e sintomi fisici (come l’ipotensione, l’aumentata sensibilità per il freddo, la perdita di capelli, le difficoltà digestive, i problemi dentari) e quella tra dimagrimento e sintomi psicologici (come la depressione, i pensieri ed i rituali ossessivi, l’isolamento sociale).

Diversi studi suggeriscono l’utilità di trattamenti rivolti ai familiari con lo scopo di migliorare le conoscenze relative alla malattia e al suo trattamento e di diminuire il carico familiare, l’eccessivo coinvolgimento emotivo e il criticismo. Le terapie familiari possono aiutare i genitori a capire meglio gli aspetti patologici del comportamento dei figli e possono essere utili ad interrompere il circolo vizioso tra criticismo e malattia. Infine, Un certo numero di persone che soffrono di disturbi dell’alimentazione si riuniscono in gruppi di autoaiuto secondo le regole degli alcolisti anonimi (in questo caso vengono chiamati: overeaters anonymous) per combattere il disturbo dell’alimentazione (di solito disturbo da alimentazione incontrollata e, più raramente, la bulimia nervosa).

La difficoltà del trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare dovuta alla loro problematicità risulta evidente dal momento che una persona su due non riesce a guarire da questa patologia ( in un 20% dei casi il disturbo cronicizza, nel 30% migliora ma non scompare completamente), sottolineando così la necessità di interventi di prevenzione primaria (la prevenzione primaria è definita come un'attività che mira ad eliminare o rendere inefficaci, i fattori coinvolti nella genesi di un disturbo e di un'attività che mira a rafforzare lo scudo contro le influenze nocive). I DCA sono disturbi ad eziologia multifattoriale derivanti dall’interazione di numerosi fattori di rischio. Nonostante la necessità della presenza di fattori individuali e familiari, come si è visto, è stato ampiamente dimostrato da molti studi il ruolo importante dei fattori socio-culturali nello sviluppo dei disturbi dell’alimentazione. La migliore conoscenza di questi e dei meccanismi con cui interagiscono con gli altri fattori è una condizione cruciale per migliorare l’efficacia dei programmi di prevenzione e ridurre l’incidenza di queste patologie nella popolazione. Sembra perciò necessario un cambiamento di rotta indirizzato a far diminuire l’insoddisfazione corporea nella popolazione e di conseguenza l’incidenza dei disturbi del comportamento alimentare come, ad esempio, incoraggiare un programma di salute pubblica in cui i politici, le società scientifiche , gli stilisti, le case di moda, i produttori televisivi e cinematografici possano produrre linee guida, regolamenti e codici di autoregolamentazione per creare un ambiente in cui le donne e, in particolar modo, i giovani non siano esposti in continuazione a immagini pericolose di donne sottopeso ed emaciate. Come? Per esempio presentando una maggiore varietà di forme e taglie corporee in televisione, nelle riviste, nel settore della musica, nelle pubblicità , ecc; scoraggiando l’utilizzo di diete, in particolar modo quelle squilibrate; aiutando le persone che hanno influenza sui giovani (genitori, insegnanti) a trasmettere il fatto che il peso non è un problema; mostrando modelli più formosi in modo positivo; evitando di elogiare le celebrità che perdono peso.

Una componente importante dell'educazione ai media è l’analisi critica dei loro messaggi. I media sono un insieme molto importante di strumenti educativi e l’alfabetizzazione culturale e mediatica può essere pensata come un filtro che ci aiuta ad utilizzare gli strumenti multimediali in modo più produttivo e interessante, e a vedere ciò che deve essere messo in discussione e ciò che deve essere cambiato così da poter operare scelte più sane. Essa può insegnare a distinguere tra le aspettative del mondo reale e le rappresentazioni fittizie di cinema e tv, può educare a valutare criticamente i contenuti multimediali e responsabilizzare i genitori, gli insegnanti, i professionisti sanitari, i politici e i volontari impegnati nella sensibilizzazione del pubblico, nel trattamento e nella prevenzione.

Letteratura consigliata:

Cobainsbaby, Il peso della felicità, Mondadori

Fabiola De Clercq, Tutto il pane del mondo, Bompiani

Fabiola De Clercq, Donne Invisibili, Bompiani

M. Gerlinghoff, H. Backmund, Riconoscere e curare l’anoressia e la bulimia, Edizioni RED

Riccardo Delle Grave, Come vincere i disturbi dell’alimentazione, Positive Press

Filmografia consigliata:

Primo Amore, 2004

Maledimiele, 2011

My Skinny Sister, 2015

Fino all’Osso, 2017