L’adolescenza, dal latino “adolescere” che significa “crescere”, è la fase della vita durante la quale l’individuo conquista le abilità e le competenze necessarie ad assumersi le responsabilità relative al futuro stato di adulto e si conclude con l’avvento di quest’ultimo. Questo periodo di transizione dallo stato di bambino a quello di giovane adulto, che può iniziare anche molto presto, intorno agli 11/12 anni ( in questo caso si parla preferibilmente di preadolescenza), prevede una costante evoluzione e continue trasformazioni che spesso, dall’esterno, vengono scambiate per volubilità, instabilità, squilibrio. Nella preadolescenza i ragazzi si trovano di fronte a tutta una serie di problemi nuovi, di trasformazioni che suscitano ansia e conflitto: l’accelerazione della crescita fisica e il cambiamento di aspetto del corpo, con tutte le conseguenti risonanze psicologiche; la maturazione puberale; l’emergere della pulsione sessuale, le prime esperienze di sessualità auto ed eterocentrate e le prime esperienze di innamoramento, tanto intense quanto volubili. E ancora il mutamento dei rapporti con gli adulti (generalmente in senso peggiorativo o comunque caratterizzati da maggiori difficoltà), conseguenti alla maturazione del pensiero ipotetico-deduttivo, al bisogno di autonomia psicologica e comportamentale, alla necessità di orientare la propria vita affettiva anche su persone esterne al nucleo familiare: queste fasi sono infatti caratterizzate dalla comparsa di nuove dinamiche di gruppo talvolta difficoltose e fonte di intensi squilibri emotivi, quali il bisogno di accettazione se non anche di autentica affiliazione al gruppo dei pari, i rifiuti, le gelosie, lo spirito di emulazione, ecc. Senza contare che il turbamento derivato da tutto ciò, talvolta si riverbera anche sul rendimento scolastico, generando a sua volta ulteriori tensioni interne ed esterne. I problemi posti da tutte queste trasformazioni, inoltre, si presentano di solito quasi tutti insieme, e spesso improvvisamente, prima che un ragazzo o una ragazza siano in possesso degli strumenti psicologici necessari per poterli affrontare efficacemente. I rapidi e consistenti cambiamenti causano una fase di disequilibrio in cui tutto viene rimesso in discussione. Si potrebbe osservare che cambiamenti così rapidi non sono caratteristici esclusivamente di questa fase della vita, per esempio nell’infanzia l’evoluzione somatica e mentale raggiungono ritmi particolarmente elevati, ma in adolescenza, il ragazzo o la ragazza sono spettatori consapevoli delle mutazioni che li riguardano e sono perciò impegnati in un difficile processo di attribuzione di senso a quello che sta loro accadendo. Ed è proprio nella fase successiva, l’adolescenza vera e propria, che di solito inizia tra i 13 e i 15 anni di età per prolungarsi all’incirca fino ai 17/18, che i giovani sono impegnati in un progressivo mettere ordine in tutte queste situazioni personali intricate e confuse, favorito proprio dal maturare di certe capacità di analisi delle situazioni esterne e di introspezione, nonché da un ampliamento della prospettiva temporale che, permettendo di inserire la situazione presente in un flusso di eventi che si sono già verificati o che dovranno o potranno verificarsi (sviluppo della progettualità), rende possibile considerare con maggiore obiettività, e con maggiori capacità di gestione e tolleranza della tensione, la propria condizione attuale.

In questo momento della vita gli interrogativi e i dubbi su di sè, le trasformazioni del proprio corpo, i conflitti con i genitori rappresentano dei momenti di passaggio che possono tuttavia non costituire una patologia. In altri casi invece è proprio durante questo delicato passaggio di vita che compaiono i primi sintomi di un disagio che può trasformarsi in un vero e proprio disturbo psichico e che pertanto non vanno sottovalutati. Prendiamo ad esempio l’accettazione del proprio corpo in mutazione: l’immagine corporea viene messa in crisi dai cambiamenti della pubertà e necessità perciò di essere ristrutturata ed assimilata come facente parte di una nuova identità. Le trasformazioni del corpo e la maturazione degli organi genitali innescano il bisogno di intensificare i comportamenti che caratterizzano il genere sessuale nel quale l’adolescente si identifica. Il corpo, diventato estraneo, viene utilizzato come uno spazio di sperimentazione, tramite l’attenzione all’abbigliamento, al trucco, all’esercizio fisico, con la necessità di avvicinare il più possibile le proprie sembianze ai loro modelli interiori. Ma in casi più estremi può essere vissuto come un campo di battaglia, sul quale mettere in scena eventuali conflitti (disturbi alimentari, abuso di sostanze, ipersessualità, eccessivo utilizzo di tatuaggi o piercing, ecc).

Inoltre, alcune psicopatologie che hanno una componente ereditaria o comunque su base organica tendono a esordire proprio a cavallo tra l’adolescenza e la prima età adulta, come nel caso del Disturbo Ossessivo-Compulsivo, del Disturbo Bipolare o di molti disturbi dello spettro psicotico.

Le manifestazioni del disagio del ragazzo o della ragazza possono essere rilevati attraverso una serie di segnali (non si parla di diagnosi ma di segnali di stati di sofferenza, il cui senso e la cui rilevanza o meno vanno valutati caso per caso) dei quali qui di seguito trovate alcuni tra i più frequenti:

  • difficoltà ad affermare la propria personalità, crisi di identità (chi sono?, non mi riconosco più?);
  • conflittualità con i genitori (non riescono a capirmi, mi trattano come se fossi un bambino, invadono i miei spazi, non li sopporto più);
  • disfunzioni nell’alimentazione come eccesso o rifiuto del cibo e spesso ripercussioni sul peso corporeo (non ho fame, il cibo mi ripugna, ho sempre fame, ci sono momenti in cui non riesco a smettere di mangiare, vomito quello che ho mangiato);
  • difficoltà a riconoscere con chiarezza i propri obiettivi di vita (non so in che direzione andare, non so cosa voglio);
  • problemi scolastici (non mi importa niente della scuola, non riesco a dimostrare che sono capace, non sono intelligente);
  • sofferenze sentimentali (mi ha lasciato, nessuna/o mi vuole, chi potrebbe amarmi così come sono);
  • isolamento rispetto al gruppo dei coetanei (non ho voglia di vedere nessuno, non me la sento di uscire di casa):
  • disagio nelle relazioni con i coetanei (non riesco a parlare con gli altri, mi arrabbio con tutti, gli altri non mi considerano, nessuno mi ascolta, non riesco a farmi degli amici, non sto più bene con i miei amici);
  • disagio rispetto al proprio corpo (non mi piaccio, mi sento grasso, sono troppo alto, sono cambiato e non mi piace come sono adesso);
  • dubbi sulla propria identità sessuale (non so se mi piacciono le ragazze o i ragazzi, faccio pensieri su quelli del mio stesso sesso, ho il timore di essere gay, ho il timore di essere lesbica);
  • angosce e paure (ho paura di stare da solo, in certe situazioni mi blocco, ho paura di quello che gli altri pensano di me, ho paura di non piacere e di come mi giudicano);
  • ossessioni (ho dei pensieri che mi disturbano e che non riesco a controllare, mi lavo le mani in continuazione, accendo e spengo la luce senza motivo, etc..);
  • autolesionismo manifestato attraverso pensieri o veri e propri comportamenti (ho pensato di suicidarmi, penso di farmi del male, ho provato ad uccidermi, mi taglio, non mangio, vomito apposta, faccio cose pericolose, mi faccio, bevo);
  • stati ansiosi manifesti o somatizzazioni, cioè malessere fisico per cui è stato verificata (per esempio dal medico di famiglia) l'assenza di una causa organica (mi viene spesso mal di testa, mi va a fuoco lo stomaco, ho la pelle sempre irritata);
  • rabbia e aggressività (mi arrabbio con estrema facilità, perdo il controllo, odio tutti).

I sintomi adolescenziali hanno un carattere instabile e discontinuo. I genitori possono quindi dover affrontare momenti in cui sono travolti dalla forza con la quale si manifestano certi comportamenti e spaventati dalla loro violenza ed estraneità rispetto al carattere del figlio come lo avevano conosciuto fino a quel momento. Questo può provocare sentimenti diversi che possono elicitare comportamenti preoccupati, permissivi, tolleranti o repressivi, conseguenti alle emozioni portate in campo dal ragazzo o dalla ragazza. Questi momenti si alternano ad altri in cui sembra che torni la serenità, momenti durante i quali si può trovare anche lo spazio per pensare più lucidamente all’accaduto e alle potenziale cause. I genitori spesso sono gli attoniti spettatori di questo processo che si svolge sotto i loro occhi. Il sentimento prevalente è quello di soffrire per il fatto di sentirsi impotenti nell’aiutare il figlio/a a superare le sue difficoltà o nell’alleviare perlomeno le sue sofferenze. Tutto questo può unirsi alla rabbia per la sensazione che sia proprio lo stesso figlio a considerare inutile, e spesso indesiderata, la loro partecipazione a questo suo percorso.

Spesso in queste situazioni può nascere nella mente del genitore l’esigenza di avere qualcuno con cui confrontarsi e capire con quali strumenti, quando presumibilmente i problemi si ripresenteranno, potrebbe aiutare più efficacemente il figlio/a ad affrontare le difficoltà che provocano sofferenza e disequilibrio.

Come ho detto, è sbagliato considerare i sintomi adolescenziali in un’ottica di patologia. A seconda di come si presentano ed evolvono le difficoltà ed i conflitti, è necessario valutare se vi siano le indicazioni per giustificare delle preoccupazioni oppure se considerarle come un processo fisiologico. In quest’ultimo caso l’adolescente necessità soprattutto di essere ascoltato, considerato ed accettato nella sua individualità. L’adolescente riesce sempre a sorprenderci per le capacità di infastidire le tendenze conservatrici del nostro mondo, per le potenzialità di pensiero e di azione che si possono manifestare sotto forma di grande creatività, distruttività o piattezza. In ogni caso, sia che le condotte siano funzionali oppure no, sembra esserci di fondo una grande necessità di conoscere e capire: l’adolescente è affamato di verità. Sono domande sul sé, sul mondo circostante, sui genitori (non più idealizzati, ma ricondotti al ruolo di normali esseri umani con i propri limiti e sbagli e per questo spesso aspramente criticati), sulle relazioni affettive, sul futuro. Sono domande alle quali bisogna cercare di dare risposte e non risposte evasive e preconfezionate, ma ragionate, approfondite e spiegate. Bisogna rendersi conto che chi abbiamo di fronte non è più un bambino e ha capacità di comprensione e di rielaborazione che possono davvero stupirci!

Per i genitori la difficoltà maggiore consiste certamente nel cercare di mantenere la giusta distanza, una nuova modulazione fra la presenza emotiva di cui ancora gli adolescenti fortemente necessitano, anche se in forma discontinua (una sorta di presenza “al bisogno”) ed un progressivo “farsi da parte”, per permetter loro di acquisire la necessaria autonomia ed identificazione. Occorre monitorare con attenzione il comportamento dei figli, ma senza essere eccessivamente intrusivi e cercando comunque di dar loro fiducia, non facendoli sentire necessariamente sbagliati o rigidamente criticati.

Da tutto questo si evince che l’impegno e la fatica richiesti ai genitori in questo momento sono enormi, è perciò necessaria un’attenzione anche alle loro difficoltà e non solo a quelle del figlio. L’adolescenza mette a dura prova sia le capacità del singolo genitore che della coppia. Genitori più sereni, con più strumenti di comprensione ed intervento, possono riuscire meglio nel compito di sostenere il figlio adolescente perché possa ad es. investire su nuovi legami senza sentirsi in colpa nei confronti dei propri genitori e favorire la delicata fase di negoziazione dei tempi e degli spazi da dedicare a studio, amici e famiglia.

Nel caso invece in cui la situazione sembri giustificare un livello di preoccupazione elevato, si può evidenziare la necessità di accedere ad una consulenza, che può essere risolutiva, si capisce cioè come affrontare il problema o che magari semplicemente il problema non esiste, o portare a valutare un percorso, che aiuti l’adolescente ad affrontare l’uscita dall’infanzia e l’ingresso nel mondo adulto con una maggiore conoscenza di sé e una maggiore sicurezza in se stesso. Talvolta bisogna avere il coraggio e l’umiltà di ammettere che la situazione ci sta sfuggendo di mano e che abbiamo bisogno di aiuto. Senza contare che lo psicologo, in quanto figura estranea e neutrale rispetto alle dinamiche familiari, può essere visto dall’adolescente come un interlocutore più “facile” rispetto ai genitori, nei confronti dei quali, a seconda del problema, possono coesistere vissuti di rabbia, vergogna o imbarazzo.

Lo psicologo, in base alle peculiarità del caso, può ritenere utile un lavoro individuale con l’adolescente o consigliare una serie di incontri cui partecipano solo i genitori, oppure coordinare i due interventi, al fine di aiutare il nucleo familiare a trovare nuove e più funzionali modalità di relazione e comunicazione. Lo psicologo, inoltre, in quanto tecnicamente preparato in tal senso, può riconoscere più facilmente i sintomi di un potenziale disturbo psichiatrico, permettendo, anche attraverso l’invio o l’affiancamento ad altri specialisti, un intervento più tempestivo con maggiori probabilità di contenimento del danno e prognosi favorevole.

Letture consigliate:

Nan Coosemans, Quello che i ragazzi non dicono, Sperling & Kupfer

Antonio Tosi, Genitori sereni in situazioni difficili, Ecomind

Alberto Pellai & Barbara Tamborini, L’età dello tsunami, De Agostini

Daniel J. Siegel, La mente adolescente, Raffaello Cortina Editore

Filmografia consigliata:

Stand by me, 1986

Easy girl, 2010

Noi siamo infinito, 2012

Boyhood, 2014

17 Anni, 2016

Adolescenza e devianza

Nei suoi tentativi di rendersi indipendente dall’adulto, materialmente e psicologicamente, un adolescente viene spesso a trovarsi in contrapposizione, talvolta polemica, con gli adulti ed elabora convinzioni, atteggiamenti, comportamenti propri che si differenziano in qualche misura da quelli degli adulti che gli stanno vicino, nella famiglia e nella scuola. Tuttavia, questa tendenza a diversificarsi dagli adulti, ad opporsi ad essi in quanto singoli individui o rappresentanti delle istituzioni, travalica talvolta i limiti della divergenza e si configura come devianza.

Possiamo dire che mentre la prima dinamica, la divergenza, ha generalmente una connotazione positiva, (in quanto indica un processo di differenziazione, di elaborazione di una identità propria, di un modo autonomo e talvolta originale di vedere il mondo, uno stile personale), la devianza ha invece una connotazione essenzialmente negativa ed indica un processo che dovrebbe venire contrastato o, qualora si sia ormai verificato, dovrebbe venire riequilibrato attraverso interventi di recupero (i quali sono invece inopportuni e spesso controproducenti nel caso della divergenza). Questa valutazione radicalmente diversa dei due processi si fonda sul tipo di rapporto con la società, con i suoi valori e la sua cultura. Nel caso della divergenza, tutto sommato, l’individuo si adatta alle richieste fondamentali della società in cui cresce: ne accetta il linguaggio, accetta le regole logiche e di buon senso che rendono possibile un ragionamento e un confronto. Soprattutto accetta un insieme di valori e di norme che stanno alla base della convivenza civile. E sulla base di questa sostanziale accettazione di norme e di valori fondamentali, un individuo (o un gruppo) può in qualche misura divergere, differenziarsi, cercando di introdurre elementi di innovazione che possano essere di utilità per tutta la comunità. È evidente la positività di queste divergenze, sia per l’individuo che le realizza, definendo così la propria identità, sia per la collettività, dato che gli elementi di novità che in tal modo egli introduce, qualora siano di particolare valore, possono entrare a far parte del patrimonio culturale comune, arricchendolo, come è accaduto nel caso degli innovatori nel campo della letteratura, della musica, della pittura, dell’architettura, della moda o anche nella ricerca scientifica.

Con la devianza invece le cose vanno in modo molto diverso. Deviare, infatti, non vuol dire solo allontanarsi dalla norma, ma prevede che la divergenza assuma alcune caratteristiche peculiari.

Letteratura consigliata:

Luca Morgante, Dal disagio alla devianza giovanile, Feltrinelli

Ciro Roselli, Devianze, IBS libri

Antonio Murzio, Educati alla violenza (storie di bullismo e di baby gang), Edizioni Imprimatur

Filmografia consigliata:

Mery per sempre, 1991

Boyz in the hood, 1991

Will Hunting – Genio Ribelle, 1997

In un mondo migliore, 2010

Trash, 2014

A testa alta, 2015