“La vita di una persona consiste in un insieme di avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme.” (I.Calvino)
Già da molti anni è noto che alcuni eventi particolarmente gravi, improvvisi e stressanti possono causare una serie di disturbi psichici, comportamentali e psicosomatici. Per eventi traumatici si possono considerare disastri naturali come terremoti, inondazioni, valanghe, oppure disastri accidentali come incidenti automobilistici, lutti, esplosioni, incidenti sul lavoro o ancora traumi prolungati e ripetuti come prigionie, violenze e abusi sessuali. La mole della produzione scientifica e degli sforzi terapeutici in questo campo è tale che oggi esiste lo specifico approccio della Psicotraumatologia.
Il DSM V propone una distinzione: se i sintomi persistono per almeno due settimane, ma per non più di quattro settimane, si può considerare la diagnosi di Disturbo Acuto da Stress (ADS). Se invece i sintomi lamentati, sempre correlati all’evento traumatico perdurano per più di un mese, si può considerare l’opportunità di una diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).
Vi può essere una fase di latenza di vari mesi o più tra la fine degli stress e la comparsa dei primi sintomi (PTSD ad esordio tardivo) e, a volte, tali sintomi possono persistere per molti anni. Gli Autori, già nel DSM IV hanno deciso di includere i PTSD nella categoria diagnostica dei Disturbi d’Ansia per la presenza di idee intrusive ed ansiogene, preoccupazione circa la perdita di controllo, ipervigilanza, risposte impulsive, paura che si ripetano gli eventi traumatici, comportamenti fobici e di evitamento. I sintomi caratteristici che risultano dall’esposizione ad un trauma includono il continuo rivivere l’evento traumatico, l’evitamento persistente degli stimoli associati al trauma, l’ottundimento della reattività generale ed alcuni sintomi costanti di aumento dell’arousal come irritabilità, scoppi di collera e disturbi del sonno. L’evento traumatico può essere rivissuto in vari modi: comunemente la persona presenta ricordi ricorrenti ed intrusivi dell’evento ed incubi durante i quali l’evento si ripete. In molti casi compaiono stati dissociativi che durano da pochi secondi a diverse ore, durante i quali i traumi vengono rivissuti e la persona si comporta come se stesse vivendo l’evento in quello stesso momento (flashbacks). Nei bambini piccoli i sogni spiacevoli riguardanti l’evento possono, nel giro di alcune settimane, trasformarsi in incubi generalizzati popolati da mostri.
Secondo diversi Autori, la memoria traumatica è qualitativamente differente dalla memoria qualitativa normale: quest’ultima è simbolica e può essere espressa verbalmente, mentre la prima è composta da immagini, sensazioni e stati comportamentali; inoltre, la memoria traumatica è immodificabile nel tempo e non può essere ricercata, ma è portata automaticamente alla luce con quelle particolari modalità che sono appunto i flashbacks, gli incubi ecc. Questo tipo di fenomeni si inseriscono nella specifica risposta post-traumatica rappresentando una valvola di sfogo o un mezzo di elaborazione dello stress, un modo speciale per acquisire consapevolezza circa i propri vissuti interiori, laddove la mente cosciente abbia operato massicce misure difensive di negazione o rimozione. Yule afferma che un evento traumatico fornisce all’individuo stimoli che, come percepiti in quel momento, fanno insorgere un estrema eccitazione emotiva che non può essere elaborata immediatamente; le rappresentazioni iconiche di questi stimoli sono trattenute nella memoria immediata a causa della loro importanza e delle difficoltà ad essere assimilate con le altre rappresentazioni immagazzinate. Queste cognizioni dell’evento, in forma di immagini e sensazioni, forniscono le basi per rivivere i fenomeni o i ricordi ossessivi del trauma in modo talmente realistico da essere vissuti come se l’evento accadesse realmente di nuovo. Spesso si manifesta un forte disagio ed un’elevata reattività fisiologica quando la persona viene esposta ad eventi scatenanti che assomigliano o simbolizzano un aspetto dell’evento traumatico, per cui viene evitato qualsiasi stimolo associato al trauma: la vittima si sforza di evitare pensieri, sentimenti o conversazioni inerenti l’evento traumatico e di evitare attività, situazioni e persone che suscitano ricordi di esso. L’evitamento fobico di tali situazioni può interferire con le relazioni interpersonali e portare a conflitti famigliari, divorzio o perdita di lavoro. Gli individui con PTSD possono descrivere dolorosi sensi di colpa per essere sopravvissuti al trauma o per ciò che hanno dovuto fare per sopravvivere; sono dunque presenti sentimenti di inefficienza, vergogna, disperazione, una seria compromissione della modulazione affettiva e, a volte, comportamenti autolesivi. Nei bambini il senso di diminuzione delle prospettive future può essere evidenziato dalla convinzione che la vita sarà troppo breve per diventare adulti. L’impatto con il trauma può, inoltre, minare le fondamenta del sistema di credenze dell’individuo, modificandone le modalità di relazione con il mondo esterno producendo dei cambiamenti caratteriali stabili come un’incapacità di fidarsi e di conservare rapporti, oppure una tendenza ad essere vittimizzati o a vittimizzare gli altri, cinismo, comportamenti antisociali.
Nella pratica clinica si verifica spesso che accanto ai sintomi di PTSD in senso stretto, compaiano vari altri disturbi. E’ stata rilevata un’alta frequenza di sintomi depressivi associati al PTSD, lo stesso dicasi per fobie ed attacchi di panico. Sono stati rintracciati traumi infantili in soggetti, sia adolescenti sia adulti, ai quali era stata diagnosticata una sindrome di PTSD in concomitanza con una struttura di personalità borderline e all’abuso di alcool e sostanze stupefacenti, mentre il 90% dei pazienti con disordini d’identità multipla hanno riferito storie di abusi e traumi. Infine, la tendenza a somatizzare è stata riscontrata in numerose vittime di traumi e violenze: i sintomi più comuni sono cefalee, problemi gastrointestinali ed un senso di stanchezza persistente. Questa co-morbilità è spesso fonte di ulteriori difficoltà per quanto riguarda il trattamento terapeutico; spesso si corre il rischio di concentrare i propri sforzi sui disturbi più evidenti, ignorando l’esistenza dei traumi che ne sono in realtà la causa principale.
La fragilità dell’equilibrio psichico e la precarietà dell’adattamento precedente contribuiscono a spiegare la profondità e la durata di certi scompensi. Ciò nonostante non bisogna minimizzare il ruolo del trauma, considerandolo semplicemente un elemento scatenante di una nevrosi latente. Alcune situazioni altamente patogene possono causare gravi disturbi post-traumatici in soggetti stabili e ben integrati; al contrario, soggetti all’apparenza più “a rischio” possono superare abbastanza facilmente tali eventi. E’ importante situare l’evento nella storia personale del soggetto, per comprendere la sua reazione ad un trauma: la risonanza affettiva varierà secondo la personalità, il sostegno sociale, la vulnerabilità dovuta a precedenti esperienze stressanti.
Negli ultimi anni sono state messe a punto o adattate, molte specifiche tecniche per aiutare le persone afflitte da PTSD. L’ipnosi può costituire un’utile terapia, anche se è necessaria una grande cautela nel riportare alla coscienza immagini e ricordi traumatici. L’EMDR (Eye Movement Desensization and Reprocessing) è un approccio terapeutico molto particolare che combina tra loro la reimmaginazione delle scene traumatiche, il contatto con le sensazioni ansiose, una ristrutturazione cognitiva ed una trance ipnotica indotta in modo diretto: in sintesi si tratta di rivedere l’immagine traumatica e rivivere le sensazioni fisiche negative ma in uno stato di trance ed in associazione a nuove auto-osservazioni positive, costantemente ripetute e incompatibili con i pensieri stressanti. In modo diverso, senza trance ipnotica ma in uno stato di rilassamento, possono essere eseguite tecniche di immaginazione guidata, dove la rappresentazione traumatica viene rivisitata, cambiata, associata ad altre sensazioni e ad altri significati, risultando così mitigata nelle sue valenze negative e paurose; alcuni esempi sono la Direct Therapy Exposure e la Trauma Desensization (una variante della Desensibilizzazione sistematica). L’approccio cognitivo afferma che le persone costruiscono il proprio sistema di conoscenze ed affrontano le situazioni utilizzando schemi e costrutti cognitivi personali. Questi contengono idee, credenze, aspettative e informazioni estrapolate dai vissuti precedenti riguardo a se stessi, agli altri e al mondo. Un’improvvisa esperienza traumatica fa confrontare la persona con qualcosa che contrasta con le convinzioni di sicurezza e stabilità contenute nei propri schemi mentali. Un obiettivo fondamentale delle psicoterapie cognitive è la reintegrazione di tale esperienza entro gli schemi mentali e le strutture cognitive, ripristinando l’equilibrio precedente. Il trauma, infatti, crea una specie di “ struttura della paura” formata dalle informazioni circa gli stimoli traumatici, dalle risposte cognitive, affettive, fisiologiche e comportamentali attivate e dalle informazioni che riguardano l’interpretazione di questi stimoli e gli elementi di risposta tipici della struttura della paura. Per ridurre la paura sono necessarie due condizioni: in primo luogo, i dati informativi della paura(ad es. i ricordi del trauma) devono essere disponibili in modo che si attivi la struttura della paura. Se quest’ultima non è accessibile, non vi sarà possibilità di cambiamento. In seguito, si devono presentare ed utilizzare dati informativi che sono in contrasto con i contenuti della struttura della paura in modo da modificare gli elementi mnemonici. Le attribuzioni causali, le idee irrazionali e le distorsioni cognitive possono essere oggetto di ristrutturazione cognitiva.
La psicoterapia di gruppo, per persone con PTSD può essere abbinata ad una psicoterapia individuale o essere proposta come unico trattamento. L’esperienza di gruppo si prefigge di ridurre il senso di solitudine, di colpa e di autocondanna, fornendo una percezione di validità, di coesione, di rilassamento e di sostegno sociale; il paziente si sente accettato in un ambiente non giudicante ma sicuro. Anche la terapia di coppia o familiare viene spesso introdotta, in quanto l’evento traumatico, tra tutte le sue conseguenze, comporta anche una destabilizzazione della precedente situazione di coppia o parentale.
Letture consigliate:
Carol Fullerton & Robert Ursano, Disturbo Post Traumatico da Stress: le risposte acute e a lungo termine al trauma e al disastro, Libreria Cortina
Peter Levine, Traumi e shock emotivi. Come uscire dall’incubo di violenze, incidenti ed esperienze angosciose, Macro Edizioni
Carolyn Ainscough, Liberarsi, Edizioni Calderini
Filmografia consigliata:
PTSD (2015)
Triage (2009)
La bestia nel cuore (2005)
L’uomo senza sonno (2004)